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“Le famiglie sono i veri seminari” dice il responsabile delle vocazioni a Roma

Padre Rosini lamenta la mancanza di vocazioni nella Città Eterna, e la sua diagnosi sembra essere molto accurata.

don Fabio Rosini

Rosini – Foto: Pontificia Università della Santa Croce

Redazione (06/05/2023 12:32, Gaudium Press)  Nei giorni scorsi Gaudium Press ha dato notizia dell’ordinazione di 11 nuovi sacerdoti per la diocesi di Roma,  formatisi presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore e il Collegio Diocesano Redemptoris Mater.

Tuttavia, poche ore dopo l’ordinazione di questi sacerdoti, avvenuta il 29 aprile, don Fabio Rosini, responsabile della pastorale vocazionale del Vicariato di Roma, ha commentato: “c’è poco da rallegrarsi”, riferendosi al territorio della sua diocesi, dove “la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi”.

Don Rosini afferma che la questione delle vocazioni al sacerdozio è una “sfida”, che da tempo sta affrontando in molti modi.

Il sacerdote mette nero su bianco i termini del problema: se a Roma, cuore della cristianità cattolica, città di oltre tre milioni di abitanti suddivisi in circa 340 parrocchie, vengono ordinati solo undici sacerdoti in un anno, considerando l’innalzamento dell’età media sacerdotale e che tutti i sacerdoti al raggiungimento dei 75 anni di età terminano il loro servizio, “significa che tra qualche anno non avremo più sacerdoti sufficienti per le parrocchie”.

Questa mancanza di “vocazioni romane mostra lo stato di sterilità della Chiesa”, afferma.

E aggiunge che “nella Città Eterna non è che manchino i pesci da pescare, ma piuttosto manca l’acqua stessa in cui i pesci devono nuotare”.

“Quando ho assunto la responsabilità di questo servizio nel 2011, ho cercato di capire i numeri reali e ho scoperto che nelle parrocchie i gruppi giovanili erano composti, in media, da non più di una decina di giovani – racconta il direttore del Servizio per le vocazioni del Vicariato di Roma –  È chiaro che non sono le vocazioni a mancare, non sono i seminaristi a mancare, ma sono i cristiani in generale a mancare”.

Quindi non sono tanto le vocazioni a mancare, ma lo stesso popolo di Dio. E non avere chiara questa diagnosi comporta il rischio di “continuare a fare una pastorale vocazionale che cerca di specializzarsi in una materia inesistente e non si cura di far crescere il popolo di Dio; si continua a dare per scontata la fede e la conseguenza è che non ci sono vocazioni. Abbiamo bisogno di annunciare il Vangelo, di formare cristiani”, afferma.

C’è bisogno di cristiani formati in famiglia.

Pertanto, l’analisi, che è semplice, non è priva di luce: le vocazioni sono la conseguenza naturale di famiglie cristiane che sono veramente cristiane. Sono come la naturale fioritura di un cristianesimo di cui sia veramente permeata la società.

Le famiglie sono “i veri seminari”.

“È necessario avere una pastorale familiare ad hoc perché se i ragazzi provengono da famiglie veramente cristiane, dove si prega, sono preparati al servizio e al perdono, allora avremo ottimi sacerdoti. Ma se non si parte dall’incontro personale con Cristo non avremo cristiani e quindi avremo sempre meno sacerdoti”, conclude.

 

Con informazioni di Agensir.it

 

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