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La Sacra Sindone di Torino: falso o realtà?

Alla fine del secolo scorso, gli scienziati scoprirono che la Sindone era un vero e proprio mistero: su di essa era impressa un’immagine non dipinta, le cui foto, sebbene piatte, avevano proprietà tridimensionali.

Ci sono oggi delle risposte?                                                                                        Shroud of Turin 001 700x461 1

                                                                                                                        Sindone di Torino

Redazione (12/06/2023 14:57, Gaudium Press) A Torino si venera ancora oggi il telo che, secondo la tradizione, avvolse il Sacro Corpo di Gesù nella sua sepoltura. Si presenta come un lenzuolo di lino, filato a mano, di 4,36 m. di lunghezza e 1,10 m. di larghezza.

Ma come è finito a Torino, visto che il Santo Sepolcro si trova a Gerusalemme?

L’ipotesi più accreditata è quella che lo individua nel cosiddetto Mandillon, un tessuto conservato a Edessa, la cui testimonianza risale già dal 544 e che fu poi trasferito a Costantinopoli nel 944.

Chi l’abbia portato a Edessa è alquanto difficile da sapere, ma il suo arrivo nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente è documentato, così come il suo culto, da parte dei pellegrini, nella sontuosa chiesa di Santa Maria di Blanquerna. Lì ogni venerdì veniva esposto alla venerazione, completamente dispiegato, come oggi a Torino in occasione delle ultime esposizioni. [1]

Con l’invasione e il saccheggio della città da parte dei Crociati nel 1204, si perse ogni traccia della reliquia. Ma in questa occasione “un modesto cavaliere di nome Roberto de Clari affermò di aver visto la Sindone”[2].

Tuttavia, secondo la mentalità razionalista, la reliquia ha prove sicure solo da quando, nel 1353, apparve nella città di Lirey, nel nord-est della Francia, nelle mani di un certo Goffredo de Charny. Da questo luogo a Torino, il percorso è ben documentato, compresi gli incendi e gli incidenti di ogni genere che il sacro lenzuolo ha subito.

Come si vede, la linea del tempo che lega la Sindone di Torino al telo che ha avvolto Nostro Signore nel sepolcro, è più delineata di quanto sembrerebbe a prima vista; insomma, è il dato più ragionevole fornito dalla storia. Ma se il lettore non li ritiene sufficienti, non si preoccupi, perché è stato proprio questo dubbio che ha portato gli scienziati a studiare così da vicino la Sindone.

Una fotografia dell’Uomo-Dio?

Incredibilmente, tutto ebbe inizio con un avvocato torinese di nome Secondo Pia. Essendo molto devoto alla Sindone, nel 1898 decise di utilizzare l’allora “moderna” tecnica fotografica, per riprodurre i misteriosi segni, alcuni rossastri, altri scuri, presenti sul telo. Quale fu la sua sorpresa quando, sviluppando il negativo fotografico, poté vedere chiaramente il volto del Redentore.

A occhio nudo si possono scorgere con chiarezza alcune macchie di sangue e, a una distanza compresa tra i 2 m e i 9 m, si possono vedere immagini molto tenui del corpo di Nostro Signore. I cristiani lo hanno venerato per secoli, ma non potevano nemmeno immaginare che solo con un negativo fotografico sarebbe stato possibile avere una visione positiva del Sacro Volto dell’Uomo-Dio.

Studi scientifici sul Lino di Torino sono proseguiti fino ad oggi, “insieme a maldestri tentativi di falsificazione”[3] Uno dei più famosi è stato senza dubbio quello del 1978. Furono coinvolti quaranta scienziati americani che formarono il famoso STURP (Shroud of Turin Research Project), il cui presidente era il dottor John Jackson. Ma prima che potessero mettere le mani sulla Sindone, alcune scoperte accrebbero la curiosità degli studiosi.

Un’immagine non dipinta

Una delle prime e più intriganti scoperte, era stata la tridimensionalità dell’immagine. Di solito le fotografie hanno lunghezza e larghezza, ma non profondità. Ebbene, la Sindone sembrava essere un’eccezione.

Un giorno era stato eseguito un test con un analizzatore di immagini VP-8. Questa apparecchiatura era stata ampiamente utilizzata in campo scientifico, a metà degli anni ’70, per scattare foto a vari pianeti. Ha una programmazione speciale: interpreta ciò che è più “scuro” come più distante, e ciò che è più chiaro, come più vicino. Tuttavia, solo quando c’è una reale profondità, cioè quando ciò che è più scuro è effettivamente più lontano, il VP-8 può produrre un’immagine tridimensionale. Per esempio, potrebbe essere riprodotta tridimensionalmente da questo apparecchio la fisionomia di una persona, ma non una fotografia del viso, in quanto piatta e bidimensionale: in questo caso l’immagine risulterebbe contorta sullo schermo dell’apparecchio.

Quindi, il dottor John Jackson e il fisico Bill Mottern ebbero l’idea di inserire delle semplici immagini della Sindone all’interno del VP-8. Il fallimento dell’esperimento era evidente. Ma – stupisce il lettore – quando lo fecero, ottennero un’immagine tridimensionale!

E non è tutto. Quando gli scienziati elaborarono le immagini e le analizzarono con attenzione, notarono che esse presentavano “un’ampia gamma di frequenze spaziali”, orientate in modo casuale”[4]. In altre parole: l’immagine non aveva “direzione”, cosa che sarebbe stata impossibile se fosse stata realizzata con un pennello o con qualsiasi altro strumento pittorico creato dall’uomo, perché “nessun metodo di applicazione manuale può essere privo di direzione”.5]

Inoltre, grandi chimici come Ray Rogers hanno sostenuto che “se il sangue e il corpo fossero stati creati da un artista, usando un qualsiasi pigmento organico – o anche inorganico – in un veicolo organico, il calore [dei fuochi] avrebbe prodotto un significativo cambiamento di colore in porzioni delle immagini”. [6] Ora, questo non si è verificato per nessuna fotografia della Sindone.

La reliquia conteneva quindi tutti gli elementi necessari per un paradosso: un’immagine non dipinta le cui fotografie, pur essendo piatte, avevano proprietà tridimensionali.

In realtà, non si trattava di una vera e propria scoperta, poiché questi esperimenti non facevano altro che sollevare ulteriori interrogativi per gli scienziati, che potevano essere risolti solo con un’analisi diretta della Sindone di Torino. Dopo innumerevoli difficoltà, i membri dello STURP ottennero il permesso di farlo e, con il telo in mano, raccolsero informazioni ancora più incredibili… di cui parleremo in un prossimo articolo.

Di Lucas Rezende

 

[1] Cfr. JIMÉNEZ ALEIXANDRE, José Manuel. Introduzione. In: CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. La Sacra Sindone di Torino: magnifico vessillo della Risurrezione. Roma: Lumen Sapientiæ, 2020, p. 22.

[2] HELLER, John H. La Sindone di Torino. Rio de Janeiro: José Olympio, 1985, p. 67.

[3] JIMÉNEZ ALEIXANDRE, José Manuel. Introduzione. In: CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. La Sacra Sindone di Torino: magnifico vessillo della Risurrezione. Roma: Lumen Sapientiæ, 2020, p. 24 (nota a piè di pagina): “L’esempio più caratteristico è stata la cosiddetta “datazione al carbonio-14″, priva delle garanzie minime di esenzione, come dimostrato da diversi studi seri”.

 

[4] HELLER, John H. La Sindone di Torino. Rio de Janeiro: José Olympio, 1985, p. 9.

[5] Ibid.

[6] Ibidem, p.8

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