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La difficile situazione della Chiesa in Cina

 Aumentano le critiche all’accordo sino-vaticano da parte dei cattolici. Secondo il cardinale Parolin, l’accordo “deve comunque essere applicato nella sua interezza e nel modo più corretto possibile”.

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Foto: Notizie dal Vaticano

Redazione (19/07/2023 16:43, Gaudium Press) Lo scorso aprile il governo cinese, violando gli accordi con il Vaticano, ha trasferito il vescovo Joseph Shen Bin dalla diocesi di Haimen alla diocesi di Shanghai. Va ricordato che non è stato il Papa, ma le autorità cinesi a insediare questo vescovo senza l’approvazione della Santa Sede.

Quando la notizia è diventata di dominio pubblico, la Santa Sede si è dichiarata perplessa e ha precisato che il caso sarebbe stato esaminato.

La questione è stata finalmente risolta il 15 luglio, quando il cardinale Pietro Parolin ha annunciato che il Papa aveva deciso di approvare la nomina di monsignor Shen alla diocesi di Shanghai, con l’intento di “sanare l’irregolarità canonica creatasi a Shanghai per il bene della diocesi e per il fruttuoso esercizio del ministero pastorale del vescovo”. La diocesi di Shanghai era rimasta senza vescovo per un decennio.

Intervistato da Vatican News, il cardinale Parolin ha affermato che è “indispensabile che tutte le nomine episcopali in Cina, compresi i trasferimenti, avvengano in modo consensuale, come concordato, e mantenendo vivo lo spirito di dialogo” tra la Santa Sede e la Cina.

Le parole del cardinale rivelano qualcosa di più sul contenuto di questo accordo sino-vaticano, che autorizza il governo cinese a proporre candidati all’episcopato, tra i quali il Vaticano designerebbe i vescovi.

Questa è la seconda palese violazione dell’accordo. L’anno scorso, le autorità cinesi avevano ordinato la nomina del vescovo John Peng Wiezhao a “vescovo ausiliario di Jiangxi”, una diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede.

Lo status speciale della Chiesa in Cina, oltre alle irregolarità, comprende altri elementi. Tra le questioni che devono essere affrontate con urgenza, il cardinale individua: l’evangelizzazione, la Conferenza episcopale e la comunicazione dei vescovi cinesi con il Papa.

Il cardinale chiede la creazione di una conferenza episcopale con “statuti adeguati alla sua natura ecclesiale e alla sua missione pastorale”, nonché la realizzazione di una comunicazione regolare dei vescovi con il Papa.

Monsignor Shen Bin, sebbene sia stato ordinato vescovo nel 2010 con il consenso della Santa Sede, è visto con sospetto da molti cattolici anche perché presiede il cosiddetto Consiglio dei vescovi cinesi, una sorta di conferenza episcopale autorizzata dallo Stato e non riconosciuta dal Vaticano. In precedenza il prelato era stato vicepresidente della tanto contestata Associazione patriottica cattolica cinese, che in pratica è un organo del Partito comunista.

In realtà, le voci che criticano questo accordo, ancora provvisorio, sono sempre più numerose.

Forse la critica maggiore è che il Vaticano stia permettendo la creazione di una Chiesa nazionale non cattolica sotto il controllo delle autorità comuniste. E che l’accordo giustifichi la persecuzione che le autorità cinesi continuano a esercitare contro i “clandestini”, che rifiutano di accettare i postulati comunisti come parte integrante della loro fede.

La “sinizzazione”

In effetti, le autorità comuniste sono state molto chiare, sia nelle dichiarazioni che nelle azioni di governo, riguardo la necessità di una “sinizzazione” delle religioni, un adattamento delle religioni alla realtà cinese, che gli analisti descrivono come una sostanziale sottomissione delle religioni a quanto è voluto dalle autorità comuniste.

A titolo di esempio, si riporta che un mese dopo l’insediamento del vescovo Shen Bin a Shanghai, alcuni funzionari della Conferenza consultiva politica del popolo cinese avevano visitato la città per valutare i progressi della “sinizzazione” della diocesi.

E nel caso in cui il vescovo Shen Bin nutrisse qualche dubbio su cosa gli sarebbe potuto accadere se non avesse intrapreso questa strada, c’è l’esempio del vescovo Taddeo Ma Daqin, che fu eletto ausiliare di Shanghai ma che denunciò l’Associazione patriottica cattolica cinese durante la sua messa di ordinazione il 7 luglio 2012. Nella stessa notte fu messo agli arresti domiciliari nel Seminario di Sheshan, dove si trova tuttora.

Come dice il cardinale Parolin, i dialoghi con il governo cinese continueranno. Dialoghi che sollevano sempre più preoccupazioni e contrasti, tra cui quello di molti cattolici in Cina che sostengono che la Chiesa in Cina è stata abbandonata dal Papa e che l’accordo sino-vaticano è il peggior documento firmato con il Partito Comunista Cinese, per non dire che il cardinale Parolin è il peggior diplomatico, debole con i forti e forte con i deboli.

 

Con informazioni della CNA

 

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