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Mons. Fernandez a la Civiltà: comunione ai divorziati, carità morale, inculturazione estrema

La Civiltà Cattolica pubblica un dialogo con il nuovo Prefetto della Dottrina della Fede, che certamente scatenerà nuove polemiche.

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Redazione (16/09/2023 15:09, Gaudium Press) Dopo le sue dichiarazioni a Edward Pentin del National Catholic Register, in cui affermava che i vescovi che ritengono di avere “un dono speciale dello Spirito Santo per giudicare la dottrina del Santo Padre” sarebbero sulla strada dell'”eresia e dello scisma”, ora, La Civiltà Cattolica, to ha pubblica Un dialogo con Mons. Fernandez, un lungo colloquio con il vescovo Padre Spadaro, direttore uscente del giornale.

Le dichiarazioni a Pentin non sono state prive di polemiche. Alcuni analisti sono arrivati a contrapporre le affermazioni dell’ancora semplice vescovo alla dottrina di San Tommaso, che nella Summa Theologica affermava che ” nel caso di una minaccia alla fede, i superiori devono essere rimproverati anche pubblicamente dai loro sudditi” (S. Th., II-II, 33, 4), estendendo la possibilità di critica non solo ai vescovi ma anche a semplici fedeli ben formati.

Infatti, l’arcivescovo Fernandez nelle sue affermazioni non ha distinto tra dottrina infallibile pontificia, dottrina meramente magisteriale e le semplici opinioni di un Pontefice, che può averle tutte, essendo solo la prima di per sé completamente inoppugnabile.

Ora l’ex arcivescovo di La Plata ha dichiarato a La Civiltà che “la formazione che ho ricevuto è stata rigorosamente tomistica, [ma] il mio grande maestro è un altro gigante della scolastica, San Bonaventura”, benché anche “tra i teologi più vicini a noi, mi sono nutrito soprattutto della precisione argomentativa di Karl Rahner, della profondità spirituale di Hans Urs von Balthasar, dell’ecclesiologia di Yves Congar e, senza dubbio, del prezioso lavoro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”.

“In tutti loro c’è un’intima connessione tra pensiero ed esperienza spirituale, anche se ognuno la ottiene a modo suo. Lo stesso vale per alcuni filosofi tomisti come Étienne Gilson o Réginald Garrigou-Lagrange”; “Sono latinoamericano – ha detto ancora – e non stupitevi se metto in evidenza autori che esprimono il sapore e le preoccupazioni della mia terra, come Gustavo Gutiérrez, Lucio Gera e Rafael Tello”: un insieme piuttosto variegato.

Il tema dell’inculturazione

Alla domanda di Spadaro su come intenda il rapporto tra spiritualità e pastorale, il presule risponde che “il pensiero si dispiega alla luce della Rivelazione, ma si immerge necessariamente nel contesto ineludibile della vita del popolo, che viene illuminato dalla Parola rivelata e allo stesso tempo la sfida a far emergere sempre di più le proprie ricchezze. Allo stesso tempo pensiamo nel contesto di una prassi, e questa prassi impegnata apre nuovi orizzonti di pensiero”. ‘Il Praedicate Evangelium ‘ si riferisce esplicitamente allo “sviluppo della teologia nelle diverse culture” (n. 71) e chiede di proteggere “l’integrità della dottrina cattolica sulla fede e sulla morale” “mentre si cerca una comprensione sempre più profonda delle nuove questioni” (n. 69). La sensibilità pastorale apre percorsi teologici in dialogo con il mondo .

E più avanti afferma: “Perciò la teologia entra in dialogo con tutti i saperi del suo tempo, senza pretendere di imporre loro una cultura antica, medievale o moderna, ma partirà dalla cultura dei suoi ascoltatori per comunicare la verità”.

Ci si chiede allora se per l’Arcivescovo la cultura acquisisca lo status di una sorta di “prima verità”, di una lente o prisma iniziale attraverso cui cercare il significato della Rivelazione, o almeno di una condizione essenziale per la comunicazione delle verità della Rivelazione.

Sembrerebbe che l’Arcivescovo neghi o almeno non consideri l’esistenza di una cultura cristiana, emanazione di una fede che ha permeato la vita degli uomini, producendo una visione cristiana della realtà. Si potrebbe dire che se queste ultime affermazioni dell’Arcivescovo Fernandez fossero state applicate radicalmente, San Paolo, invece di parlare ai pagani del Dio Cristo Crocifisso, avrebbe dovuto parlare loro di un Super Cristo Giove o di un Super Cristo Zeus.

Né l’Arcivescovo sembra considerare che la Rivelazione cristiana possa essere contrapposta frontalmente a una data cultura, non potendo entrare in alcun tipo di dialogo con gli elementi essenziali di quella cultura, ma che sia la Rivelazione stessa a determinare un sano confronto: se i frati missionari che hanno evangelizzato, ad esempio, il Messico, avessero instaurato un “dialogo” con l’idolatrica e sacrificale cultura azteca, improvvisamente in quella grande nazione cristiana oggi si penserebbe ancora di offrire neonati alle divinità per il miglioramento del clima.

Comunione per i divorziati

Mons. Fernández è intervenuto con La Civiltà sul tema della “comunione ai divorziati” trattato nell’Amoris Laetitia, e riprende con i vescovi della Regione di Buenos Aires la possibilità che “in un caso concreto, ci siano dei limiti che attenuano la responsabilità e la colpa, soprattutto quando una persona considera che cadrebbe in una colpa maggiore , provocando un danno ai figli della nuova unione”.

Amoris laetitia apre la possibilità di accedere ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia” (si intende senza praticare la continenza con il nuovo partner), oltre ad assicurare che questo è il pensiero del Pontefice regnante, ratificato dalla pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis.

Tuttavia, l’arcivescovo Fernandez non chiarisce come queste affermazioni si concilino con la dottrina bimillenaria della Chiesa, che nel caso della ricezione dell’Eucaristia parte da San Paolo, quando dice che “Perciò chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore dovrà rendere conto, indegnamente, del Corpo e del Sangue del Signore. Ogni uomo esamini se stesso prima di mangiare questo pane e di bere questo calice; perché se mangia e beve senza discernere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”. (1 Cor 11, 27-29).

Chiaramente Benedetto XVI, nella Sacramentum Caritatis, ha ricordato che “il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Mc 10,2-12), di non ammettere ai sacramenti i divorziati e i risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata e attualizzata nell’Eucaristia…”. L’arcivescovo Fernandez non ha mostrato come la nuova prassi proposta dalla sua interpretazione di Amoris Laetitia possa conciliarsi con i pontificati precedenti, dando adito all’affermazione da parte di alcuni che se ciò che è stato detto prima viene negato ora, allora ciò che viene detto ora può essere negato domani, e in questo modo – tra gli altri effetti – la sicurezza dei fedeli nel deposito della Tradizione viene sostanzialmente erosa. (Alla fine di questa nota c’è una panoramica della dottrina ,fatta da Infocatólica ,sul tema della comunione ai divorziati).

Morale e carità

Nella sua intervista a La Civiltà, l’arcivescovo Fernandez spiega che la “legge dell’amore fraterno” è una “regola d’oro” e un criterio centrale nel discernimento morale”, che si applica “in ogni caso concreto”. La carità fraterna”, dice l’Arcivescovo, “come comandamento principale che si realizza attraverso la virtù della carità, interviene anche nella sfera dell’azione e fornisce razionalità al discernimento, dato che questa virtù ha i suoi atti esterni che diventano paradigmi, riferimenti necessari in ogni discernimento.

Pertanto, la carità, pur risiedendo nella volontà, include anche l’ordine della ragione, intervenendo – in parte – nella determinazione del fine immediato, dell’oggetto della scelta. Il valore supremo e paradigmatico degli atti esterni di carità è riconosciuto da Tommaso quando pone la misericordia al vertice delle virtù, poiché regola un’azione esterna e produce così una somiglianza con l’azione divina”.

Questa dinamica tra morale e carità, che secondo il presule sarebbe quella giusta, non si riduce “assolutamente” all’adempimento dei comandamenti, secondo mons. Fernández, in dichiarazioni che per alcuni potrebbero avere il sentore della criticata “morale situazionale”, che nega atti intrinsecamente cattivi, sempre condannabili da un punto di vista morale indipendentemente dalle circostanze che li circondano – anche se possono sembrare caritatevoli – e che nega una norma oggettiva e suprema di moralità che finisce per essere quella di adeguare la propria condotta non tanto alla carità fraterna quanto alla carità verso Dio, che si manifesta nell’adempimento dei suoi comandamenti.

Insomma, il vescovo Fernández non ha ancora iniziato il suo mandato, ma tutto lascia presagire che le previsioni si realizzeranno, che darà molto da parlare.

(Gaudium Press / Saúl Castiblanco).

 

Dottrina della Chiesa Cattolica [riguardo alla questione della “comunione ai divorziati”].

San Giovanni Paolo II ha insegnato quanto segue nell’enciclica Veritatis Splendor:

Nel caso di precetti morali positivi, la prudenza deve sempre svolgere il ruolo di verificare la loro pertinenza in una determinata situazione, ad esempio tenendo conto di altri doveri forse più importanti o più urgenti. Ma i precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono certi atti o comportamenti concreti come intrinsecamente malvagi, non ammettono alcuna eccezione legittima; non lasciano spazio moralmente accettabile alla creatività di qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta concretamente la specie morale di un’azione vietata da una norma universale, l’atto moralmente buono è solo quello che obbedisce alla legge morale e si astiene dall’azione che la legge proibisce.

 

VS 67

 

Il Concilio di Trento decretò:

Cap. XI del Decreto sulla giustificazione.

 

Sull’osservanza dei comandamenti e su come sia necessario e possibile osservarli. Ma nessuno, anche se giustificato, si persuada di essere esente dall’osservanza dei comandamenti, né si avvalga di quelle voci temerarie e proibite con anatema dai Padri, cioè che l’osservanza dei precetti divini sia impossibile all’uomo giustificato. Dio, infatti, non comanda l’impossibilità; ma, comandando, ti ammonisce a fare ciò che puoi e a chiedere ciò che non puoi, aiutandoti allo stesso tempo con i suoi aiuti, perché i comandamenti di Colui il cui giogo è facile e il suo fardello leggero, non sono pesanti.

 

Y:

 

Se qualcuno dirà che è impossibile per un uomo, anche se giustificato e costituito in grazia, osservare i comandamenti di Dio, sia scomunicato.

 

Canone XVIII sulla giustificazione

 

Riguardo alle condizioni di accesso all’Eucaristia, il Concilio di Trento  stabilì:

 

CAN. XI. Se qualcuno dirà che la sola fede è una preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della Santissima Eucaristia, sia scomunicato. E per evitare che un così grande Sacramento venga ricevuto in modo indegno, e di conseguenza provochi morte e dannazione, lo stesso santo Concilio stabilisce e dichiara che coloro che si sentono oppressi dalla coscienza del peccato mortale, per quanto si ritengano contriti, per riceverlo devono necessariamente anticipare la confessione sacramentale, avendo un confessore. E se qualcuno osasse insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o addirittura difenderlo in pubbliche dispute, sia scomunicato nel medesimo caso.

 

Riguardo al sacramento del matrimonio, il grande concilio della Controriforma insegna:.

 

CAN. VII. Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina del Vangelo e degli Apostoli, che il vincolo del Matrimonio non può essere sciolto dall’adulterio di uno dei due coniugi, e quando insegna che nessuno dei due coniugi può essere sciolto dall’adulterio dell’altro; E quando insegna che nessuno dei due, nemmeno l’innocente che non ha dato motivo di adulterio, può contrarre un altro Matrimonio mentre l’altro consorte è in vita; e che chi sposa un altro che ha lasciato il primo come adultero, o chi, lasciando l’adultero, sposa un altro, è colpevole di fornicazione; sia scomunicato.

 

E per quanto riguarda la contrizione come requisito per ricevere l’assoluzione sacramentale:

 

La contrizione, che ha il primo posto tra gli atti del penitente già menzionati, è un intenso dolore e disgusto del peccato commesso, con il proposito di non peccare in futuro. In tutti i tempi questo movimento di contrizione è stato necessario per ottenere il perdono dei peccati; e in un uomo che ha commesso un crimine dopo il Battesimo, lo preparerà infine a ottenere la remissione dei suoi peccati, se alla contrizione si aggiunge la fiducia nella misericordia divina e la risoluzione di fare tutte le cose richieste per ricevere bene questo Sacramento. Il santo Concilio dichiara, quindi, che questa Contrizione include non solo la separazione dal peccato, e il proposito e l’effettivo inizio di una nuova vita, ma anche il ripudio della vecchia, secondo le parole della Scrittura: Gettate via da voi tutte le vostre iniquità per cui avete trasgredito, e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo.

Inoltre, l’insegnamento della Scrittura è chiaro e mostra che nessuno può essere scusato dal peccato:

Nessuna tentazione vi ha colti che non sia di misura umana. Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi farà trovare il modo di sopportarla.

 

1 Corinzi 10:13

 

Y:

 

È Dio infatti che opera in voi per volere e per agire secondo il suo beneplacito.

 

Fil 2,13

 

San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio:

 

La Chiesa, tuttavia, sulla base della Sacra Scrittura, ribadisce la sua prassi di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati e i risposati. Sono loro che non possono essere ammessi, poiché il loro stato e la loro situazione di vita contraddicono oggettivamente l’unione d’amore tra Cristo e la Chiesa, che è significata e attualizzata nell’Eucaristia. C’è anche un’altra ragione pastorale: se queste persone fossero ammesse all’Eucaristia, i fedeli sarebbero fuorviati e confusi sull’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

 

Benedetto XVI ha espresso la stessa opinione nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis:

 

Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Mc 10,2-12), di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente quell’unione d’amore tra Cristo e la Chiesa che è significata e attualizzata nell’Eucaristia…

 

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