Il Papa augura la pace ai rabbini, ma permangono le grandi divergenze
La lettera del Papa al teologo ebreo Karma Ben Johanan del 2 febbraio è stata accolta con favore dal mondo rabbinico.
Redazione (06/02/2024 15:36, Gaudium Press) La lettera del Papa del 2 febbraio al teologo ebreo Karma Ben Johanan – uno dei promotori dell’appello al Pontefice firmato da circa 400 rabbini e studiosi per rinsaldare l’amicizia ebraico-cristiana dopo l’attentato di Hamas del 7 ottobre – non poteva contenere espressioni più sensibili di benevolenza verso gli ebrei.
La lettera di Francesco “ai fratelli e alle sorelle ebrei di Israele”, pubblicata dall’Osservatore Romano e accolta con favore dai rabbini, non affronta però le differenze sostanziali relative ai problemi della Terra Santa.
Il Pontefice si dichiara “molto preoccupato per il terribile aumento degli attacchi contro gli ebrei in tutto il mondo”, cosa che ai nostri giorni giunge inaspettata.
Francesco rivolge il suo pensiero agli ostaggi che sono Gaza, si rallegra per quelli che sono già tornati e prega perché quelli ancora prigionieri possano presto fare ritorno. Afferma poi di non “perdere la speranza per una pace possibile”: “Dobbiamo fare di tutto per promuoverla”.
“Sento il desiderio di assicurarvi la mia vicinanza e il mio affetto – ha detto il Pontefice- abbraccio ciascuno di voi, e in particolare coloro che sono consumati dall’angoscia, dal dolore, dalla paura e anche dalla rabbia”, scrive, aggiungendo che “insieme a voi piangiamo i morti, i feriti, i traumatizzati, pregando Dio Padre di intervenire e di porre fine alla guerra e all’odio”.
Il problema dei due Stati
Tuttavia, al di là dei comprensibili buoni auspici, non viene affrontato alcun punto specifico dell’agognato cammino verso la pace, forse per timore di suscitare divergenze di opinione.
Ad esempio, la Santa Sede, pur riconoscendo il diritto di Israele alla legittima autodifesa, ha sottolineato che questa deve essere proporzionata, nel rispetto del diritto umanitario, cosa che molti dubitano sia rispettata nell’attuale offensiva a Gaza. La Chiesa stessa ha persino denunciato che due parrocchiane dell’unica chiesa cattolica di Gaza, madre e figlia, sono state uccise senza alcuna giustificazione dai cecchini, sebbene le forze di difesa israeliane lo neghino.
Le divergenze vanno anche oltre la possibile conclusione dell’offensiva.
La Santa Sede, ad esempio, rimane ferma nella sua posizione di due Stati, Israele e Palestina, come ad esempio ha affermato mons. Gabriele Caccia, osservatore vaticano presso l’ONU, quando ha recentemente dichiarato a New York che la soluzione più praticabile per una pace duratura rimane quella dei due Stati, “con uno status special, garantito a livello internazionale, per la città di Gerusalemme”.
“È fondamentale”, ha insistito l’arcivescovo Caccia, “che la comunità internazionale, insieme ai leader dello Stato di Palestina e dello Stato di Israele, persegua questa soluzione con rinnovata determinazione in un momento di diffusa disperazione e ostilità”.
Ma è proprio la soluzione dei due Stati che il premier israeliano Netanyahu ha respinto nei giorni scorsi, attirandosi le critiche del segretario generale dell’Onu il portoghese António Guterres: “ La negazione del diritto del popolo palestinese a uno Stato è inaccettabile”. “Questo prolungherà indefinitamente un conflitto che è diventato una seria minaccia per la pace e la sicurezza mondiale, esacerberà la polarizzazione e incoraggerà gli estremisti ovunque”, sostiene Guterres.
Non sono poche le voci che sostengono che Netanyahu sia totalmente legato al fronte degli ebrei ultraortodossi, senza il cui sostegno non potrebbe governare. A dicembre Netanyahu ha formato un governo grazie alle alleanze con due partiti ultraortodossi e tre formazioni di estrema destra. Secondo alcuni analisti, quello attuale “è il governo più di destra che Israele abbia mai conosciuto, e l’opposizione denuncia le intenzioni di Netanyahu di riformare e indebolire i poteri della Corte Suprema e concentrarli nelle sue mani”.
Inoltre, questa crescente presenza dell’ebraismo ultraortodosso continua a manifestarsi nel mondo della cultura israeliana, ad esempio con attacchi a rappresentanti di altre fedi, come è avvenuto recentemente nei confronti dell’abate cattolico del monastero della Dormizione. Dopo le consuete e ripetute dichiarazioni di diniego delle autorità israeliane, resta agli occhi dell’opinione pubblica mondiale il fatto che Israele stia radicalizzando la sua ortodossia, favorendo così la radicalizzazione dei suoi avversari. (SCM)
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