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Seguire Cristo o il demonio?

Seguire Cristo o “ Satana ”. È questa la decisione che la Provvidenza ci ha invitato a prendere in questa 24ª domenica del Tempo Ordinario.

Nosso Senhor ensinando aos Apostolos

“Nostro Signore insegna agli apostoli” – Museo di Sant’Isacco, San Pietroburgo (Russia) – Foto: Gustavo Kralj

Redazione (16/09/2024 16:21, Gaudium Press)  È dottrina nota e comune tra noi che, dopo il peccato dei nostri primi genitori nel paradiso terrestre, la sofferenza, fino ad allora inesistente nella vita umana, è diventata nostra compagna inseparabile. Così, non c’è uomo che passi per questo mondo e non soffra in qualche modo, per quanto voglia schivare i dolori e le croci quotidiane.

Tuttavia, non c’è parola che ferisca le orecchie dell’uomo contemporaneo più della parola dolore e di altre simili, perché, a causa del peccato originale, gli esseri umani sono portati a credere che sia possibile raggiungere la gloria senza il dolore e, quindi, essere felici senza la sofferenza.

La liturgia di questa domenica sviluppa quindi il tema della sofferenza. Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia[1], vediamo il Servo Sofferente descritto mentre si dona completamente alle croci che Dio gli ha imposto:

“Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi “ (Is 50,6).

Sia in questo passo scelto di Isaia che nel salmo responsoriale, la liturgia mostra quale dovrebbe essere il giusto atteggiamento dell’anima di fronte al dolore e alle croci:

“Ma il Signore Dio è il mio aiuto, perciò non ho lasciato che il mio spirito si abbattesse, ho mantenuto il mio volto fermo come pietra, perché so che non sarò umiliato” (Is 50,7).

E il salmista completa la sua supplica:

“I cordoni della morte mi stringevano, i legami dell’abisso si stringevano intorno a me; angoscia e dolore mi invadevano. Allora ho invocato il Signore: “Salva la mia vita, Signore”” (Sal 116,3-4).

In altre parole, dinanzi alla croce e al dolore, dobbiamo sopportarli, ma non in modo meramente passivo, bensì offrendoli a Dio stesso e alla sua volontà divina, chiedendo costantemente il suo aiuto. In questo modo, le nostre sofferenze non saranno inutili. Questo perché, secondo San Paolo, terremo presente che una tribolazione momentanea e passeggera ci porterà una gloria eterna e incommensurabile (cfr. 2 Cor 4,17).

Nella lettera di san Giacomo, l’Apostolo parla dell’importanza di provare la nostra fede con le opere:

“Fratelli miei, che giova a qualcuno dire di avere fede se non la mette in pratica?” (Gc 2,14).

Quale può essere dunque il modo di dimostrare la fede con le opere? La virtù soprannaturale della fede ha come oggetto le realtà e le promesse soprannaturali che Dio ci ha fatto. Ora, la virtù della carità, la più eccellente di tutte le virtù (cfr. 1 Cor 13,13), ci fa amare l’Autore di queste promesse in se stesso, cioè perché è quello che è, anche se non ci ha concesso alcuna ricompensa in questa vita o nell’altra.

Così, accettando le nostre croci quotidiane per amore suo, mettiamo in pratica la nostra fede. Perché se è vero che saremo ricompensati nella vita post mortem, non rinunciamo nemmeno alla minima sofferenza per dimostrare a Dio, con questo atto d’amore, che vogliamo davvero godere della sua visione eterna, e gli dimostriamo che faremo di tutto per farlo.

Cristo o il diavolo

Infine, nel Vangelo di San Marco, il Divino Maestro chiede ai suoi discepoli cosa dicano di lui. San Pietro, il principe degli apostoli, anticipa la risposta e fa la sua confessione di fede: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29). Nella versione di Matteo, vediamo che dopo la confessione di Pietro, Gesù lo proclama beato, perché non è stato un essere umano a portarlo a fare una tale professione di fede, ma il Padre suo che è nei cieli, e per questo lo dichiara la pietra su cui sarà fondata la Chiesa (cfr. Mt 16,17-19).

Appena due versetti dopo, quando Nostro Signore annuncia la sua Passione ai suoi discepoli, lo stesso Pietro, che era appena stato mosso dallo Spirito Santo, chiama in disparte il suo Maestro e lo rimprovera per aver annunciato le sue sofferenze. Il primo papa implorò allora Dio di non permettere che una cosa del genere accadesse a colui che amava tanto (cfr. Mt 16,21-23). Gesù intervenne:

“Allontanati da me, Satana! Tu mi sei di scandalo perché non pensi come Dio, ma come gli uomini” (Mt 16,23).

Che cosa era accaduto? San Pietro, non più mosso dallo Spirito Santo, ma da criteri errati, dissociò la gloria dal dolore, e così volle togliere la Croce al suo Divino Maestro, cosa che gli valse il nome di Satana da parte di Dio stesso, che lo aveva appena proclamato primo papa.

Una lezione per noi: per crucem ad lucem, attraverso la Croce raggiungiamo la luce e otteniamo la gloria. Chiediamo che la Divina Provvidenza, attraverso San Pietro, ci conceda la grazia di non essere mai “demoni”, sottraendoci alle sofferenze quotidiane inviate per la nostra santificazione. Ma seguiamo Cristo completamente, come ci ha mostrato:

“Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).

Di Guilherme Maia

[1] Il profeta Isaia è considerato il “quinto evangelista” per aver predetto la passione del Divino Salvatore sei secoli prima che essa avesse luogo.

 

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