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San Roberto Bellarmino: la santità innanzitutto

 Il 17 settembre la Chiesa celebra la memoria di San Roberto Bellarmino: pensatore, polemista, uomo d’azione, sapiente direttore spirituale, si è battuto per la Santa Chiesa cattolica in tutte le direzioni. Ma perché era tutto questo? Perché era un santo.

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Redazione (17/09/2024 16:39, Gaudium Press)  Roberto Francesco Romolo Bellarmino nacque a Montepulciano, in Toscana, il 4 ottobre 1542. Suo padre, Vincenzo Bellarmino, di nobiltà impoverita, era stato per molti anni governatore della città. Sua madre, Cinzia Cervini, era la sorella del futuro Papa Marcello II, che governò la Chiesa per soli 22 giorni nell’aprile del 1555.

Fin da piccolo si applicò agli studi, imparando con facilità tutto ciò che si proponeva, compresa la musica. Ma amava anche visitare il Santissimo Sacramento e, nonostante la giovane età, osservare i digiuni dell’Avvento e della Quaresima.

L’incontro con la vocazione religiosa

A 14 anni entrò nella scuola della Compagnia di Gesù, dove cominciò a emergere la sua vocazione di grande predicatore e polemista. Un piccolo episodio dell’epoca illustra questa inclinazione.

In città si diffusero voci calunniose sulla qualità dell’insegnamento nella scuola, che indignarono Roberto. Per mettervi fine una volta per tutte, prese alcuni suoi compagni e sfidò i migliori studenti delle altre scuole a un dibattito pubblico. Il giorno stabilito, toccò a lui tenere il discorso di apertura nel comune dove si svolgeva l’evento. La vittoria degli studenti gesuiti fu clamorosa!

Con le sue parole facili, il suo ragionamento metodico e logico e, soprattutto, la sua sincera religiosità, il giovane santo fu invitato a predicare in occasione di ritiri e altri eventi. Il successo bussava alla sua porta. Essendo anche il nipote di un papa, anche se di breve durata, il padre sperava di vedergli portare in alto il nome della famiglia, magari come membro di spicco della corte papale…

Tuttavia, Roberto, soppesando i pericoli dell’ascesa dorata che gli si prospettava, decise di diventare gesuita.

I primi anni nella Compagnia di Gesù

Superate le resistenze dei genitori e dopo un anno di prova nella sua città natale, fu trasferito a Roma, dove emise i voti di devozione nella Compagnia e iniziò a studiare filosofia al Collegio Romano.

Nonostante fosse di costituzione debole e inferma, la sua intelligenza era estremamente acuta. Aveva anche una memoria straordinaria, tanto che gli bastava una semplice lettura per memorizzare il contenuto di un libro. I suoi successi accademici furono quindi notevoli. Nella difesa della sua tesi di filosofia, si distinse per la sicurezza e la chiarezza del ragionamento con cui espose l’argomento e le risposte alle obiezioni avanzate. Questo gli valse il posto di professore di Discipline Umanistiche presso il Collegio di Firenze, nonostante i suoi 21 anni.

Oltre all’insegnamento, gli fu affidato anche il compito di predicare nelle domeniche e nei giorni festivi davanti a prelati ed ecclesiastici, oltre che nella scuola intellettuale della città. I suoi ascoltatori si stupivano, più che per la sua eloquenza, nel vederlo praticare con coerenza ciò che predicava loro nelle sue prediche.

Visti i rapidi progressi compiuti, San Francesco di Borja, allora Superiore Generale, gli ordinò di recarsi a Lovanio, dove c’era bisogno di uomini di talento per difendere il “Deposito della Fede”, all’epoca fortemente messo in discussione dagli intellettuali luterani.

Un eccellente predicatore, ma ancora senza stola

L’Università di Lovanio era un bastione della vera dottrina. Roberto vi giunse per rimanere due anni, che divennero sette, come aveva previsto lui stesso.

Piccolo di statura, il giovane gesuita era un gigante sul pulpito. La domenica predicava in latino nella chiesa dell’Ateneo, gremita di un pubblico abituato ad ascoltare criticamente i predicatori più dotti. Preziosi erano i frutti di queste prediche: cattolici esitanti venivano confermati nella fede, numerosi giovani si consacravano al servizio di Dio, molti protestanti si convertivano. Non mancarono persone che venivano dall’Olanda o dall’Inghilterra per ascoltarlo e confutare le sue argomentazioni, ma che tornavano pentite.

A Gand, il 25 marzo 1570, Roberto ricevette il sacerdozio.

Il periodo più fecondo della sua vita

L’epoca è segnata da aspre polemiche. I problemi sollevati dai protestanti spinsero don Bellarmino a studiare l’ebraico per acquisire una maggiore sicurezza esegetica.

San Roberto studiò anche i Padri della Chiesa, i Dottori, i Papi, i Concili e la Storia della Chiesa. Si attrezzò così per una solida forma di insegnamento, orientata verso una sorta di apologetica in cui gli errori venivano sempre contestati con rispetto e prudenza.

Fu il periodo più fecondo della sua vita. Le principali università europee, tra cui Parigi, se lo contendevano come professore di teologia. Anche San Carlo Borromeo lo richiese per Milano. A soli 30 anni, aveva immense responsabilità pastorali e accademiche, che svolse con virtù e talento. Ciò indusse i suoi superiori ad anticipare la sua professione solenne.

Controversie: la “Summa” di Bellarmino

Qualche tempo dopo, la Santa Obbedienza lo fece tornare nella Città Eterna. Gregorio XIII aveva fondato al Collegio Romano una cattedra di apologetica chiamata Controversie, con lo scopo di insegnare la vera dottrina contro gli errori che dilagavano nei centri universitari dell’epoca. San Roberto ne fu incaricato per dodici anni, durante i quali confutò squisitamente le obiezioni dei protestanti. I suoi insegnamenti di questo lungo periodo furono raccolti, per ordine dei suoi superiori, nella monumentale opera Controversie.

Considerata la “Summa” di Bellarmino, fu accolta con grande entusiasmo e tradotta in quasi tutte le lingue europee. San Francesco di Sales, il grande vescovo di Ginevra, affermò di aver predicato per cinque anni contro i calvinisti a Chablais, utilizzando solo la Bibbia e le Controversie di Bellarmino.

Anche i protestanti testimoniarono l’efficacia e il valore di quest’opera.

Così, la viva fede e la profonda saggezza del santo, così come il suo metodo tomistico di argomentazione – che partiva sempre dall’esposizione imparziale delle ragioni e degli argomenti addotti dalla parte avversa – furono di incalcolabile valore per la difesa della Chiesa. Se la maggior parte dell’Austria e quasi un terzo della Germania rimangono ancora oggi cattoliche, possiamo dire che ciò è in gran parte dovuto all’apostolato di San Roberto Bellarmino.

Cardinale in nome della Santa Obbedienza

Il proficuo lavoro di San Roberto Bellarmino nella Città Eterna non si limitò al Collegio Romano, di cui divenne Rettore nel 1592. Tra gli altri incarichi, fu teologo di Papa Clemente VIII, consulente del Sant’Uffizio e teologo della Penitenzieria Apostolica. Fece anche parte della commissione incaricata di preparare l’edizione clementina della Vulgata, la versione ufficiale della Bibbia per il rito latino fino al 1979, quando fu sostituita dalla Neovulgata.

La sua nomina a cardinale era inevitabile. Tuttavia, rifiutò di accettare l’incarico, sostenendo che fosse incompatibile con i suoi voti. Ma Papa Clemente VIII lo costrinse ad accettare in nome della Santa Obbedienza.

Con lo stesso spirito religioso, disinteresse e abnegazione che lo avevano caratterizzato fino a quel momento, si dedicò ai compiti, spesso spinosi, richiesti ai prelati romani. Ma nel 1602 Clemente VIII lo sollevò dal pesante fardello nominandolo arcivescovo di Capua e conferendogli lui stesso l’ordinazione episcopale.

Alla guida dell’arcidiocesi di Capua

Già in vita godeva di fama di santità, il cardinale Bellarmino fu accolto in cattedrale con grande pompa e una folla enorme di fedeli, che lo commossero con medaglie e rosari.

Il suo governo iniziò con una riforma generale del clero. Incontrò privatamente ogni sacerdote, mostrando gentilezza evangelica e fermezza nei confronti di quelli che si erano smarriti. Era disposto a perdonare i peccati più gravi a chi si pentiva, ma rimaneva del tutto inflessibile nei confronti di chi era recalcitrante: o un cambiamento di vita o un cambiamento di abitudini.

Nella cattedrale, diede nuova vita al coro, partecipando egli stesso alla recita dell’Ufficio. Predicava spesso, come era sua abitudine, utilizzando questo mezzo per convertire le anime. Visitò anche tutto il territorio dell’arcidiocesi, incoraggiando la pietà dei fedeli e aiutando a ricostruire i conventi in rovina. Ma, da buon figlio di Sant’Ignazio, dava particolare importanza alla formazione: egli stesso insegnava il catechismo nelle parrocchie e nella cattedrale la domenica.

In mezzo a tutte queste occupazioni, la sua vita spirituale era un capolavoro di serenità. Riusciva a organizzare il suo tempo in modo da trovare momenti per pensare, meditare, pregare, studiare e scrivere, senza trascurare gli obblighi verso il suo gregge. Al contrario, era dal raccoglimento e dalla preghiera che traeva la forza per il suo lavoro pastorale.

L’elezione del nuovo Papa

Alla morte di Clemente VIII, il cardinale Bellarmino tornò a Roma per partecipare per la prima volta a un conclave. Il Papa eletto fu Leone XI, che morì meno di un mese dopo.

Nel secondo Conclave, San Roberto ottenne un buon numero di voti. Ma così come aveva rifiutato gli onori cardinalizi, nella sua Autobiografia rivela di aver chiesto a Dio, in quei giorni, che venisse scelto qualcuno di più adatto, pregando insistentemente: “Dal papato, liberami, Signore!”.

Quando Paolo V fu eletto, lo portò dalla sua parte e gli fece lasciare definitivamente l’arcidiocesi di Capua. Trascorse altri sedici anni a Roma, ricoprendo le più alte cariche al servizio della Santa Sede e intervenendo nelle questioni più importanti, sulla cui risoluzione il suo giudizio esercitava un’influenza decisiva.

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Serenità in vita e in morte

Quando sentì l’avvicinarsi della morte, San Roberto chiese al neoeletto Papa Gregorio XV di essere sollevato da tutti i suoi incarichi in Curia e si ritirò nel Noviziato di Sant’Andrea al Quirinale per “aspettare il Signore”, come era solito dire. Arrivò il 17 settembre 1621. Dopo una breve malattia, visitato da molti personaggi illustri – tra cui il Papa stesso – che gli chiedevano un ultimo consiglio o una benedizione, si congedò da questa terra con una morte serena.

Pio XI lo canonizzò il 29 giugno 1930 e lo dichiarò Dottore della Chiesa l’anno successivo.

Di Suor Clara Isabel Morazzani Arráiz, EP

Testo tratto, con adattamenti, dalla rivista Araldi del Vangelo, n. 105, settembre 2010.

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