Egoismo e orgoglio, generosità e umiltà
Il Signore, di fronte alle false apparenze derivate dall’orgoglio, manifestate dall’ipocrisia dei dottori della Legge, ci esorta a essere umili e liberi da ogni vanagloria umana.
Obolo della vedova – Abbazia di Ottobeuren (Germania) Foto: Francisco Lecaros
Redazione (10/11/2024 13:03, Gaudium Press) Per comprendere il brano evangelico scelto dalla Chiesa per questa 32ª domenica del Tempo Ordinario, dobbiamo tenere presente che i Santi Vangeli non furono scritti solo come un libro ordinario, una storia per compiacere le anime pie dei primi tempi del cristianesimo. Erano soprattutto un invito al perfezionamento spirituale, a una perfezione simile a quella del Padre dei cieli. Ma non solo: erano anche un elemento di controversia, poiché i primi divulgatori della Buona Novella, nel loro lavoro apostolico, si trovarono di fronte a ostacoli da superare. Quando San Marco scrisse il suo Vangelo, uno di questi ostacoli proveniva da uomini che conoscevano bene la Legge di Mosè e le Scritture dell’Antico Testamento.
Mettere in guardia le folle dall’ipocrisia
“In quel tempo, Gesù disse nel suo insegnamento a una grande folla: ‘Guardatevi dai maestri della Legge! A loro piace andare in giro in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze; avere i primi seggi nelle sinagoghe e i posti migliori nei banchetti” (Mc 12,38-39).
È importante sottolineare il dettaglio evidenziato dall’evangelista: Gesù stava parlando a “una grande moltitudine”. Si trattava, quindi, di un insegnamento destinato a tutti e impartito senza giri di parole, mettendo in guardia il popolo dai maestri della Legge, per i motivi che verranno spiegati più avanti.
Secondo le usanze del tempo, era naturale che tutti facessero un ossequio particolare al passaggio di un dottore della Legge, a cui erano riservati i posti di rilievo negli eventi pubblici. Come sottolinea padre Tuya,[1] la piazza pubblica, o agorà, era il centro commerciale e sociale della città. Per questo motivo, gli scribi e i farisei amavano passeggiare lentamente e con passo grave in questo luogo, nei loro abiti eleganti, per ricevere i complimenti della gente, e desideravano soprattutto il titolo di rabbino, che significa mio maestro. “Nelle assemblee, i posti erano determinati non solo dall’età, ma anche dalla dignità della persona, ad esempio dalla sua saggezza. Poiché i posti riservati alla dignità erano molto meno numerosi di quelli assegnati alle persone in base all’età, i farisei volevano, per ostentazione e vanità, avere questi primi posti nei banchetti, per sottolineare la loro distinzione. […] Era un desiderio smodato, infantile e quasi patologico di vanità e orgoglio”[2].
Una lettura superficiale dei due versetti sopra riportati potrebbe indurre a pensare che non si debbano indossare bei vestiti, salutare con cortesia o favorire la gerarchia nei rapporti sociali. In realtà, l’abbigliamento nobile e decoroso viene abbandonato a causa della mentalità dei tempi in cui viviamo. Predominano il brutto per il brutto e l’egualitario per l’egualitario. Si sta diffondendo il gusto di vestirsi nel modo più trascurato possibile, per potersi sedere per terra; il brutto, il vecchio, il lacero e l’immorale stanno tornando di moda, mentre i costumi vengono semplificati il più possibile, come non farebbero nemmeno gli esseri irrazionali. Non è questo che il Divino Salvatore voleva per i suoi seguaci.
Il problema non sta negli abiti appariscenti o nell’onore, ma nel voler attirare l’attenzione su di sé, cioè nell’avere l’intenzione non di lodare Dio, ma di lodare se stessi. Le usanze elencate da Nostro Signore – legittime in alcune circostanze – erano godute dai dottori più per orgoglio che per ammirazione delle cose belle, per desiderio di glorificare Dio o per intenzione di fare del bene al prossimo. Il loro scopo era quello di vantarsi, di ostentare la loro superiorità, in sostanza di essere “adorati”, incensati dagli altri. In questo modo usurpavano il posto centrale che spettava a Dio. Quell’apparato di dignità, quell’apparenza di onore, rispetto e saggezza doveva corrispondere alla verità dei fatti, in altre parole, era la vita di questi dottori che doveva renderli degni di questi onori.
La realtà, però, era ben diversa e Gesù intendeva denunciarla.
L’apparenza, il mantello di una realtà peccaminosa
“Divorano le case delle vedove, fingendo di fare lunghe preghiere. Per questo riceveranno la peggiore delle condanne” (Mc 12,40).
Nell’Antico Testamento, le vedove erano poco protette e quindi alcuni uomini senza scrupoli cercavano di sottrarre loro quanto più potevano. Era frequente la situazione di vedove senza figli adulti, a cui affidare la gestione del patrimonio familiare. In questa situazione di impotenza, come sottolinea il Signore, si introduceva un maestro della Legge che, con la scusa di pregare, finiva per depredare i loro beni.
Denunciando questo tipo di azione, il Maestro divino faceva capire ai suoi ascoltatori quanto i maestri della Legge mostrassero all’esterno ciò che non erano. Conoscevano tutti i dettagli della Legge, ma non la praticavano… Si comportavano come voraci divoratori delle fortune altrui. Inoltre, essendo esperti di diritto, sapevano come condurre le procedure legali che riguardavano ogni domanda di successione e, di conseguenza, era più facile che finissero per appropriarsi del denaro. Pertanto, sotto l’apparenza della virtù, si nascondeva una mentalità da vampiro, il cui scopo era quello di sottrarre agli altri, quanto più possibile, in modo ingiusto e privo di scrupoli.
Le conseguenze dannose dell’orgoglio
Che questo serva da monito contro i pericoli dell’orgoglio. Ogni vanità – se accettata con indulgenza, come nel caso di questi dottori – finisce per portare alla disobbedienza dei Comandamenti di Dio. Una condizione essenziale per rimanere fedeli alla Legge è l’umiltà; la chiave per una pratica duratura di tutti i precetti divini è questa virtù. Nel caso dei dottori della Legge, l’egocentrismo orgoglioso – aggravato dalla doppiezza, l’ipocrisia di rappresentare in modo ostentato ciò che non si è – li rende meritevoli della “peggiore condanna”, secondo la forte espressione dello stesso Uomo-Dio: la dannazione eterna all’inferno, giusta punizione per chi, imboccando la strada dell’orgoglio, scivola nella disonestà e in altri peccati. Fuggiamo dunque da ogni vanagloria, per non finire con l’infrangere gli altri Comandamenti della Legge di Dio. E siamo sicuri di questa verità: l’orgoglio è sempre alla base di ogni peccato grave.
Estratto, con modifiche, da CLÁ DIAS, João Scognamiglio. I Vangeli inediti: commenti ai Vangeli della domenica. Città del Vaticano-São Paulo: LEV-Istituto Lumen Sapientiæ, 2014, v. 4, p. 488-492.
[1] Cfr. TUYA, Manuel de. Biblia Comentada. Evangelios. Madrid: BAC, 1964, v. V, p. 499.
[2] Idem, p. 500.
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