San Francesco Saverio, evangelizzatore dell’India, apostolo del Giappone, sognatore di una Cina cristiana
Conobbe Sant’Ignazio all’Università di Parigi. All’inizio non prestò molta attenzione all’anziano studente.
Redazione (03/12/2024 15:41, Gaudium Press) San Francesco Saverio, una meraviglia di uomo, a cui Dio chiese di rinunciare al suo desiderio più grande.
Prima di essere figlio di Sant’Ignazio era stato figlio dei nobili di Xavier, nel cui castello di Navarra nacque nel 1506. Era il più giovane dei fratelli.
A 18 anni andò a studiare all’Università di Parigi, dove ottenne il baccellierato. All’Università condivideva la stanza con un altro personaggio che sarebbe diventato famoso quasi quanto lui, Pietro Faber, un altro dei primi gesuiti.
Un giorno incontrarono uno studente speciale, che all’improvviso sembrò loro piuttosto strano, troppo vecchio per essere un semplice allievo: Ignazio López de Loyola, anch’egli proveniente da quelle regioni dell’alta Spagna, il grande sant’Ignazio, che subito per un’ispirazione soprannaturale sentì che quel di Xavier gli sarebbe appartenuto.
San Francesco perse il mondo intero e guadagnò la sua anima.
All’inizio Francesco di Jasu y Xavier fuggì dall’influenza di Ignazio, ma a poco a poco fu attratto da colui che sarebbe stato suo padre, signore e maestro. Una frase di Sant’Ignazio penetrò pian piano nel suo cuore: “Che cosa giova a un uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?”.
Dopo l’incessante lavoro della grazia, San Francesco seguì gli esercizi spirituali che la Madonna aveva dettato a Sant’Ignazio e ne uscì completamente trasformato.
Insieme ad altre sei persone si consacrò a Dio a Montmartre nel 1534, diventando uno dei primi gesuiti. Fecero voto di povertà, promettendo di andare in Terra Santa, e mettersi al servizio del Papa.
Furono ordinati sacerdoti a Venezia, e invece di andare in Terra Santa andarono a Roma. Aiutò poi a redigere le Costituzioni della Società.
Su iniziativa del re del Portogallo, fu scelto come missionario e delegato pontificio per le colonie portoghesi nelle Indie Orientali.
In India, fece di Goa il suo centro missionario. In dieci anni di missione viaggiò attraverso l’India, la Malesia, le Molucche e altre isole. “Se non troverò imbarcazioni, nuoterò”, disse, rivelando il suo zelo missionario.
I conquistadores non avevano più la purezza incontaminata dello spirito religioso medievale ed erano invece molto motivati a scoprire nuove terre, per il profitto che se ne poteva ricavare. Qualcosa, o comunque molto di questo, stava accadendo a Goa. Ma il santo cambiò questa realtà, mettendo la fede al suo posto, al primo posto.
“È tale la moltitudine di coloro che si sono convertiti alla fede di Cristo in questa terra dove cammino, che molte volte le mie braccia sono stanche a causa dei tanti battesimi”, scrisse San Francesco ai suoi frati nel 1544.
“In un mese ho battezzato più di 10.000 persone”, scrisse un anno dopo. “Dopo averli battezzati, ordinai loro di abbattere gli alloggi dove avevano i loro idoli e ordinai loro di rompere le immagini degli idoli in piccoli pezzi. Dopo aver fatto questo in un luogo, vado in un altro, e in questo modo vado di luogo in luogo a fare cristiani”.
Un giorno, mentre si trovava a Malacca, gli fu presentato un nativo di un’altra terra, con gli occhi a mandorla, che aveva percorso centinaia di chilometri per incontrare l’occidentale che perdonava i peccati. Si chiamava Hashiro e veniva dal Giappone.
Lottando contro molte avversità, si imbarcò per il Giappone e vi rimase per due anni. Tornò in India per organizzarsi e prepararsi al viaggio in Cina, il suo grande sogno di evangelizzazione.
Un portoghese donò la sua ricchezza per affittare una nave. Volevano trovare un cinese che li portasse a Canton, ma tutti si rifiutavano, perché le leggi imperiali lo vietavano. Alla fine uno accettò per 200 crociati.
Ma questo mercante abbandonò il santo sull’isola di Sanciao. Lì le forze lo abbandonarono, arrivarono le febbri e morì nell’abbandono, guardando la Cina, sognando una Cina convertita, ma con gli occhi fissi su Dio e contando sul suo sostegno.
Questo accadde nelle prime ore del 3 dicembre 1552.
Le sue ultime parole furono: “Spero in te, o Signore, non abbandonarmi per sempre”.
Con informazioni tratte da Arautos.org
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