San Paolo Miki e i martiri di Nagasaki: gloria del cristianesimo giapponese
Il 6 febbraio la Chiesa celebra la memoria di San Paolo Miki, il primo sacerdote gesuita giapponese, e dei suoi compagni.
Redazione (06/02/2025 13:06, Gaudium Press) L’evangelizzazione del Giappone iniziò il 15 agosto 1549, quando San Francesco Saverio mise piede per la prima volta sul suolo nipponico e iniziò a profumarlo con le sue virtù e le sue mirabili doti.
In meno di mezzo secolo, nell’Impero del Sol Levante c’erano già circa 300.000 cristiani, e questo numero tendeva ad aumentare sempre di più.
Ma la missione procedeva in un ambiente ostile alla Chiesa, in un Paese tormentato dalla guerra civile. La riunificazione, avviata da un signore feudale di nome Nobunaga, era in via di consolidamento.
Ma con la sua morte improvvisa nel 1582, il suo successore, Hideyoshi, sottopose la nazione a un governo dispotico basato sulla forza delle armi.
All’inizio Hideyoshi non perseguitò i cattolici. Col tempo, però, si rese conto che i suoi vassalli convertiti al cattolicesimo – molti dei quali occupavano posizioni di rilievo nell’esercito – erano un ostacolo ai suoi disegni dittatoriali e che la Legge di Dio era un ostacolo ai suoi eccessi in campo morale.
Di conseguenza, nel 1587 firmò un decreto di espulsione dei missionari. Grazie alle misure precauzionali prese dai gesuiti, questa iniqua decisione non fu portata a termine. Non solo i figli di Sant’Ignazio rimasero lì, ma a partire dal 1593 cominciarono ad arrivare missionari francescani dalle Filippine, intensificando ulteriormente l’opera di evangelizzazione.
Ambizioni e intrighi scatenano la persecuzione
Purtroppo, l’ambiente politico era fortemente turbato dagli intrighi, dall’avidità commerciale e dalle macchinazioni dei nemici della religione cristiana. Tutto lasciava presagire una violenta persecuzione da parte del governo imperiale.
In queste delicate circostanze, nel 1596 si verificò lo sfortunato incidente del naufragio del galeone spagnolo San Felipe al largo delle coste del Giappone.
Rimasta senza timone a causa di una tempesta, la nave si incagliò e cominciò ad affondare. L’equipaggio e i passeggeri, missionari francescani delle Filippine, furono salvati con piccole imbarcazioni.
Ci fu anche il tempo di rimuovere tutto il carico, che consisteva in preziosi tessuti di seta. Hideyoshi inviò un agente governativo, Masuda, a ispezionare e valutare le merci. Egli tornò con due informazioni.
La prima era abbastanza obiettiva: il valore del carico era sufficiente a rinvigorire le finanze esauste del dittatore. La seconda, proveniva da una fonte piuttosto dubbia: il pilota della nave confidò che, nelle conquiste spagnole, la predicazione missionaria precedeva e preparava il terreno per l’invasione militare.
Questo servì da pretesto a Hideyoshi, già predisposto dagli intrighi dei bonzi, per cambiare radicalmente il suo atteggiamento di coesistenza. Fece arrestare i francescani e confiscare i beni del galeone. Poco dopo, ordinò l’assedio delle case dei missionari a Osaka e Kyoto.
L’umiliazione si trasformò in trionfo
La missione francescana aveva come centro di irradiazione la chiesa di Nostra Signora degli Angeli a Kyoto, allora capitale imperiale. Lì, il 2 gennaio 1597, furono arrestati i missionari: il superiore, fra’ Pedro Batista; i padri Martín Loynaz de la Ascensión e Francisco Blanco de Galicia; il chierico Filipe de Jesús e i fratelli laici Francisco de San Miguel e Gonçalo García.
Insieme a loro c’erano quindici giapponesi convertiti, tra cui alcuni catechisti e tre chierichetti di nome Luis Ibaraki, Antonio e Tomás Kozaki. A Osaka furono imprigionati i catechisti João de Goto e Tiago Kisai e un novizio gesuita di nome Paulo Miki.
Quest’ultimo era nato nel 1568 e lavorava con il superiore provinciale a Nagasaki. Era un esperto predicatore e svolgeva un intenso apostolato. Più tardi, in prigione, i tre furono felici di essere accolti ufficialmente nella Compagnia di Gesù. I 24 prigionieri furono radunati in una piazza pubblica di Kyoto, dove i boia tagliarono l’orecchio sinistro a ciascuno di loro. Li trasportarono poi, coperti di sangue, su piccoli carri, per esporli al dileggio della popolazione.
Tuttavia, i rozzi carri dell’ignominia si trasformarono in una tribuna di gloria. Durante il viaggio da Kyoto a Nagasaki, i martiri furono accolti in trionfo dai fedeli dei villaggi cattolici. Lungo le strade e nei villaggi attraversati si verificarono innumerevoli e toccanti conversioni.
Un vecchio padre incoraggia il figlio a morire con gioia
L’8 gennaio 1597, Hideyoshi firmò il decreto che condannava a morte questi 24 eroi della fede per motivi esclusivamente religiosi. A loro si unirono in seguito altre due persone che li avevano accompagnati nel viaggio.
Hanzaburo Terazawa, fratello del governatore di Nagoya, ricevette da Hideyoshi l’ordine di giustiziare tutti i prigionieri e andò ad incontrarli in un villaggio vicino a Nagoya.
Quando vide Luis Ibaraki, si sentì estremamente amareggiato. Sentendosi responsabile della morte di un bambino innocente, gli offrì la libertà se avesse voluto entrare al suo servizio. Il ragazzo lasciò la decisione a fra’ Pedro Batista. Quest’ultimo rispose affermativamente, a condizione che gli fosse permesso di vivere come cattolico.
Hanzaburo non si aspettava questa risposta. Dopo qualche attimo di perplessità, rispose che per rimanere in vita, Luis avrebbe dovuto rinunciare alla fede cattolica. “A queste condizioni, non vale la pena di vivere”, rispose con determinazione il giovane corista.
Hanzaburo provò un’altra forte emozione quando scoprì tra i prigionieri la sua vecchia conoscenza Paulo Miki. In passato aveva assistito ad alcune delle sue lezioni di catechismo. Quanti ricordi si agitavano nella sua mente!
Vedendolo così commosso, Paulo Miki colse l’occasione per chiedergli tre favori, che difficilmente potevano essere negati: che l’esecuzione avvenisse di venerdì e che fosse loro permesso di confessarsi e di assistere alla Santa Messa prima.
Hanzaburo acconsentì, ma poi, temendo la reazione del tirannico Hideyoshi, fece marcia indietro. Su suo ordine, furono erette 26 croci su una collina vicino a Nagasaki.
La mattina del 5 febbraio, mentre si recava al luogo del supplizio, il catechista Giovanni de Goto vide avvicinarsi il suo anziano padre. Come saluto, era venuto a mostrare al figlio come non ci sia nulla di più importante della salvezza dell’anima.
Dopo aver incoraggiato il giovane ad avere grande coraggio e forza d’animo, esortandolo a morire con gioia perché stava morendo al servizio di Dio, aggiunse che anche lui e sua madre erano pronti a versare il loro sangue per amore di Cristo Gesù, se necessario.
La grazia del martirio attrae i cristiani giapponesi
Arrivati in cima alla collina, i 26 martiri furono saldamente legati alle croci preparate in precedenza. Intorno a loro si affollavano circa quattromila fedeli, molti dei quali volevano essere crocifissi anche loro!
Un problema inaspettato per gli abbrutiti soldati pagani, che furono costretti a usare la violenza per… risparmiare la vita di questi cristiani così profondamente toccati dalla grazia del martirio.
Fra’ Martín cantò poi il Cantico di Zaccaria, “Sia benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo”, mentre fra’ Gonçalo recitò il “Miserere”. Altri cantarono il “Te Deum”.
l padri gesuiti Francisco e Pásio, inviati dal Provinciale di Nagasaki, li esortavano a rimanere saldi nella fede. Il ragazzo Luis Ibaraki gridò forte e con voce ferma: “Paradiso! Paradiso! Gesù, Maria!”.
In un attimo, tutti i presenti gridarono a squarciagola: “Gesù, Maria! Gesù, Maria!”.
Il primo a consumare il suo martirio fu fra’ Filipe de Jesús. Il suo corpo sussultò mentre riceveva i tremendi colpi di due lance che gli trapassarono il petto, dal quale sgorgò copioso il sangue.
Il piccolo corista Antonio chiese a p. Batista di cantare “Laudate pueri Dominum” (Lodate il Signore, bambini). Quest’ultimo, però, essendo in profonda contemplazione, non sentì nulla. Antonio allora iniziò a cantare da solo, ma fu interrotto dalle lance che trafissero il suo cuore di bambino.
Dall’alto della croce, Fra’ Paulo Miki continuava a incoraggiare i suoi compagni con un’eloquenza divina. La sua anima già pregustava il Paradiso. I colpi mortali delle lance si susseguirono, aprendo le porte del Paradiso ai felici martiri. L’ultimo a morire fu padre Francisco Blanco.
La sera dello stesso giorno, il vescovo di Nagasaki e i sacerdoti gesuiti, che non avevano potuto assistere al martirio a causa del divieto di Hanzaburo, si recarono a venerare i corpi dei santi martiri, il cui sangue era stato piamente raccolto dai cattolici come preziosa reliquia.
Dopo 30 anni, nel 1627, Papa Urbano VIII riconobbe ufficialmente il loro martirio. Il beato Pio IX li canonizzò l’8 giugno 1862.
La collina dove furono giustiziati assunse il nome di Collina dei Martiri e divenne un luogo di pellegrinaggio. Su di essa, innumerevoli altri cattolici furono decapitati o bruciati vivi durante la dura e crudele persecuzione che durò per quattro decenni, culminando nella rivolta di Shimabara del 1638, nella quale morirono 37.000 cristiani.
Questo evento cancellò quasi completamente il cristianesimo sul territorio giapponese. Ma il sangue di tante migliaia di martiri non fu vano. Unito al Prezioso Sangue di Gesù, esso feconda non solo il suolo del Giappone, ma quello di tutte le nazioni in cui innumerevoli missionari hanno proclamato e proclameranno il Vangelo nel corso dei secoli.
E il loro esempio commuove e incoraggia ancora chi legge la storia della loro morte sublime. Essi formano una splendida corona di gloria sulla fronte sacrosanta della Regina dei martiri.
Testo tratto dalla rivista Araldi del Vangelo n. 26, febbraio 2004. Di Oscar Macoto Motitsuki.
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