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Santa Giuseppina Bakhita: la stella che conduce alla vera libertà

Possiamo trovare una vera stella che ha brillato in mezzo alle tenebre del paganesimo e della schiavitù: Santa Giuseppina Bakhita, la cui memoria la Chiesa celebra l’8 febbraio.

Santa Josefina Bakhita1

Foto: Riproduzione

Redazione (08/02/2025 13:41, Gaudium Press) Bakhita nacque in Sudan, nella regione africana del Darfur, nel 1869 e, da poche informazioni, sappiamo che il suo luogo di nascita era Olgossa, pronunciato “algoz”, che in arabo significa “Dune di sabbia. Di famiglia benestante, il padre possedeva terre, piantagioni e bestiame; era fratello del capo villaggio. La sua famiglia, composta dai genitori e da sette figli, era molto unita e affettuosa. Sebbene la descrizione di Bakhita di quest’alba mostri un cielo sereno, presto sarà coperto da nuvole di tribolazioni.

I due giganti oppressivi: “il paganesimo e la schiavitù”.

Sappiamo che la vera pace si trova solo in Dio. Sebbene la famiglia di Bakhita fosse moralmente irreprensibile dal punto di vista della legge naturale, purtroppo i suoi conterranei non avevano ancora beneficiato delle benedizioni della Chiesa e della fede.

Guardiamo al contesto storico dell’epoca. Nel 1821, Mohamed Ali inviò due eserciti a conquistare il Sudan. L’obiettivo politico era quello di stabilire una propria dinastia nella regione, mentre l’obiettivo pratico era quello di saccheggiare le ricchezze e catturare schiavi da vendere sul mercato.

Nel 1874, la sorella maggiore di Bakhita fu rapita. Il dolore lacerò il cuore di quella famiglia affiatata e felice. “Bakhita” non è il nome che ricevette dai genitori quando nacque nel 1876. Quando aveva circa sette anni, anche lei fu rapita e strappata alla sua famiglia. La bambina, spaventata, fu portata via brutalmente da due arabi e furono loro a darle il nome “Bakhita”, che significa “fortunata”.

Dopo un mese di prigionia, la piccola schiava fu venduta a un mercante di schiavi. Desiderosa di tornare a casa, Bakhita si fece coraggio e cercò di fuggire. Tuttavia, fu catturata da un pastore e venduta a un altro arabo, un uomo feroce e crudele, che a sua volta la vendette a un altro mercante di schiavi.

Di nuovo fu venduta a un generale turco, la cui moglie era una donna terribilmente malvagia. Voleva marchiare le sue schiave e Bakhita era tra queste. Chiamò un tatuatore che, con un rasoio, segnò i corpi delle ragazze che si contorcevano dal dolore, immerse in una pozza di sangue. Bakhita ricevette 114 tagli di rasoio sul petto, sulla pancia e sulle braccia, che vennero strofinati con il sale in modo che i segni rimanessero aperti. Le giovani schiave furono lasciate senza cure e senza assistenza per un mese.

Nel 1882, il generale turco vendette Bakhita all’agente consolare Calisto Legnani, che sarebbe stato il suo angelo buono. Nella casa del console, Bakhita sperimenta serenità, affetto e momenti di gioia, che ricordano i tempi felici della casa dei suoi genitori. Nel 1885, il signor Calisto fu costretto a tornare in Italia; Bakhita chiese di accompagnarlo e ottenne il permesso. Così partirono in compagnia di un amico, il signor Augusto Michieli, che il console presenterà alla giovane africana a Genova.

Bakhita in Italia

Arrivata in Italia con il suo settimo “datore di lavoro”, il ricco commerciante Michieli, si recò nella villa degli Zianino a Mirano Veneto, dove Bakhita divenne la bambinaia di Mimina, la piccola figlia della coppia. Pur essendo persone buone e oneste, non praticavano la religione. Come sempre, Dio aveva le sue vie e finì per mettere sulla strada di Bakhita l’amministratore dei Michieli, Iluminato Chechini. Iluminato era un uomo molto religioso e presto si preoccupò della formazione religiosa di Bakhita; quando le regalò un crocifisso, disse in cuor suo: “Gesù, te la affido ”. Quando i Michieli dovettero tornare a Suakin in Africa per motivi di lavoro, Bakhita e la piccola Mimina furono affidate alle Suore Canossiane di Venezia, grazie al signor Iluminato.

Bakhita iniziò il catecumenato (catechesi per ricevere i primi sacramenti) presso l’Istituto delle Suore. Dopo nove mesi, la signora Maria Turina tornò in Italia per prendere la figlioletta Mimina e la ragazza che considerava la sua schiava, perché dovevano tornare in Africa. In quel momento, Bakhita, già completamente innamorata di Gesù e in procinto di ricevere i sacramenti, rifiutò di tornare in Africa, nonostante l’affetto per la famiglia Michieli e soprattutto per la bambina. Sentiva nel cuore un desiderio inspiegabile di abbracciare la fede e di viverla per sempre. Nonostante le suppliche e persino le minacce della signora Michieli, la nostra giovane africana non venne meno alla sua decisione. Bakhita era libera, non c’era schiavitù in Italia. La sua padrona tornò in Africa con la figlia e Bakhita continuò la sua catechesi, felice anche se sapeva che sarebbe stata la sua ultima occasione di vedere i suoi parenti in Africa.

Suora canossiana

Il 9 gennaio 1890, Bakhita viene battezzata, cresimata e riceve la prima comunione dalle mani del Patriarca di Venezia. Al momento del battesimo le fu dato il nome di Josephine Margaret Bakhita. Descrive questo giorno come il più felice della sua vita: sentirsi figlia di Dio fu per lei un’emozione impareggiabile, così come ricevere Gesù nell’Eucaristia. Bakhita covava nel suo cuore il sublime desiderio di diventare una religiosa: “una Suora Canossiana”. Fu quindi accolta nella Congregazione delle Figlie della Carità Canossiane, serve dei poveri, e dopo tre anni di noviziato, l’8 dicembre 1896 pronunciò i voti di Castità, Povertà e Obbedienza.

Dopo la professione religiosa, suor Bakhita fu trasferita nella città di Schio, in un’altra opera della Congregazione, e vi rimase per 45 anni, dove venne conosciuta come “Madre Morena”. Suor Bakhita era attenta a tutti, senza distinzioni, dai bambini della scuola, ai loro genitori, ai sacerdoti e alle sue religiose, portando sempre a tutti parole di conforto, consolazione e amore incondizionato di Dio Padre. In ogni ruolo che ricopriva, metteva sempre il suo cuore dolce e sincero: in Chiesa, in Sacrestia, al cancello o in cucina, era tutto per tutti, con il suo sorriso angelico.

Suor Bakhita, nella sua infanzia in Africa, anche senza sapere nulla di Dio, pensava nel suo cuore innocente e puro quando guardava la luna e le stelle: “Chi sarà il padrone di tutte queste cose?”. Oh, Bakhita, Dio ti stava già preparando per Lui! Bakhita sognava la conversione del popolo africano e, il giorno della sua professione religiosa, pregava: “O Signore, se solo potessi volare lontano tra la mia gente e proclamare a gran voce la tua bontà a tutti. Quante anime potrei conquistare per te! Tra le prime, mia mamma e mio papà, i miei fratelli, mia sorella che è ancora schiava… e tutti, tutti i poveri neri dell’Africa. O Gesù, fa’ che anche loro ti conoscano e ti amino!”.

Nel 1947, Bakhita si ammala e quasi impotente, su una sedia a rotelle, passa ore in preghiera, adorazione e contemplazione. Era l’8 febbraio 1947 e la nostra suor Morena balbettava: “Come sono felice! La Madonna! La Madonna!”. Dopo un po’, nei suoi ultimi istanti, disse: “Vado lentamente verso l’eternità… Vado con due valigie: una contiene i miei peccati; l’altra, molto più pesante, contiene i meriti infiniti di Gesù Cristo. Quando comparirò davanti al Tribunale di Dio, coprirò la mia brutta valigia con i meriti della Madonna. Poi aprirò l’altra e presenterò i meriti di Gesù Cristo. Dirò al Padre: “Ora giudica ciò che vedi”. Sono sicura che non sarò respinta! Poi mi rivolgerò a San Pietro e gli dirò: “Puoi chiudere la porta, perché io rimango!

Alle 20.00, suor Bakhita consegnò la sua anima a Dio. Il popolo in gran folla volle dare l’ultimo saluto a Madre Morena, poiché la sua fama di santità si era diffusa rapidamente e tutti si rivolgevano alla sua tomba chiedendo la sua intercessione. Il 17 maggio 1992 fu beatificata e il 1° ottobre 2000 fu elevata all’onore degli altari, dichiarata “Santa” dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Il miracolo che la portò a essere riconosciuta Santa avvenne a Santos, in Brasile.

Santa Bakhita deve sempre ispirare sentimenti di fiducia nella Provvidenza, di dolcezza verso tutti e di gioia nel servire.

Di P. Alessandro Scherma Schurig, EP

[1] Testo tratto da academico.arautos.org.

 

 

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