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San Pedro Claver, lo “schiavo eterno degli africani”, luce dell’America

Era il 1610, quando vennero ammainate le vele del galeone San Pedro, che attraccava nella splendida baia di Cartagena de Indias. Su quella nave arrivava uno dei doni più belli che la Spagna avesse mai fatto all’America.

San Pedro Claver 2

Redazione (09/09/2025 15:34, Gaudium Press) Era il 1610 quando vennero ammainate le vele del galeone San Pedro, che attraccava nella splendida baia di Cartagena de Indias. Come tutti i galeoni, anche questo avrebbe dovuto trasportare oggetti di valore provenienti dalla capitale, documenti importanti, forse anche qualche autorità che avrebbe deciso il destino di molti uomini nelle terre americane. Ma, il carico più prezioso che trasportava il galeone non era nessuna delle sue merci, ma un umile religioso gesuita, che avrebbe segnato la storia del Vicereame di Nuova Granada e dell’America intera, Pedro Claver, il santo di oggi.

Nato a Verdú, in Spagna, nel 1580, all’età di 22 anni Pedro bussò alle porte del noviziato gesuita, dove fu ammesso.

Inviato al Colegio de Montesion, a Maiorca, incontrò lì un altro santo, San Alonso Rodríguez, fratello coadiutore e portiere, che aiutò a sviluppare la vocazione di Pedro, gli diede consigli preziosi e lo incoraggiò ad andare in missione in America.

Un giorno, in una visione, San Alonso contemplò molti troni in cielo, occupati dai beati, e un trono vuoto. Allora una voce gli disse: “Questo è il posto preparato per il tuo discepolo Pedro, come ricompensa per le sue molte virtù e per le innumerevoli anime che convertirà nelle Indie, con il suo lavoro e le sue sofferenze”.

San Pietro Claver terminò la sua formazione nella casa dei gesuiti della Nuova Granada, oggi Colombia. E lì fu ordinato sacerdote, il 19 marzo 1616.

Si calcolava che circa 10.000 schiavi arrivassero ogni anno a Cartagena de Indias, porta dell’impero coloniale spagnolo in America. A loro avrebbe consacrato la sua vita.

Quando Pietro Claver emise i voti solenni di povertà, obbedienza e castità, firmò il documento e aggiunse la formula innocente ed eroica che avrebbe riassunto la sua vita: «Pietro Claver, schiavo degli africani per sempre».

Non appena vedeva arrivare una nave a Cartagena, San Pietro Claver si recava immediatamente a bordo, portando biscotti, frutta e bevande. Gli schiavi, che all’inizio lo guardavano con diffidenza, finivano per essere conquistati dalle sue parole trasmesse dagli interpreti (ne aveva più di dieci) e dalla sua carità.

Prima cercava di prendersi cura dei bambini malati, poi degli adulti, e diventava davvero loro servitore.

Un catechista perfetto

Ogni giorno, accompagnato da un bastone e da un crocifisso, si dedicava alla catechesi di questi schiavi. Dovette affrontare non solo difficoltà materiali per questo lavoro, ma anche le critiche e l’incomprensione dei suoi confratelli, ma questo non attenuò affatto il suo ardore e la sua carità.

Implorava i signori della città di essere caritatevoli e di fare donazioni per gli schiavi, e non erano rare le occasioni in cui nobili capitani, cavalieri e ricche dame lo accompagnavano nelle sue peregrinazioni apostoliche nelle dimore degli schiavi.

Una volta giunto in questi luoghi, si recava prima dai malati.

San Pedro Claver

Lavava loro il viso, curava le loro ferite, distribuiva loro il cibo. Poi li riuniva attorno a un altare improvvisato e iniziava la meravigliosa catechesi che adattava alle loro menti e alle loro difficoltà di comunicazione: appendeva un telo con l’immagine di Gesù crocifisso, dal costato di Cristo sgorgava una fonte di sangue e ai piedi della croce un sacerdote battezzava diversi neri con questo sangue, che apparivano belli, splendenti; più in basso, un demone cercava di divorare alcuni neri che non erano stati battezzati. Spiegava loro che dovevano abbandonare le superstizioni e i riti che praticavano nelle loro tribù d’origine.

Dopo aver insegnato loro il segno della croce, spiegava loro i misteri fondamentali della fede, la Trinità, l’Incarnazione, la Passione del Signore, la mediazione della Vergine, il Paradiso e l’Inferno, e per farlo utilizzava molte immagini, era un apostolato “visivo”, basato sulle immagini. E quando li considerava pronti, li battezzava.

Si calcola che nella sua vita battezzasse quasi 300.000 schiavi, cosa che faceva con una cerimonia solenne, in cui chiedeva che i battezzandi fossero puliti come simbolo della purezza dell’anima che avrebbero acquisito.

«Tutto il tempo che gli rimaneva libero dalla confessione, dalla catechesi e dall’istruzione dei neri, lo dedicava alla preghiera», diceva un testimone oculare della sua vita. Ogni giorno, prima della celebrazione eucaristica, si preparava con un’ora di anticipo e poi trascorreva mezz’ora in ringraziamento, senza permettere alcuna interruzione. Recitava il Rosario ogni giorno, rendendo omaggio in modo particolare alla Vergine nelle sue festività.

All’età di 70 anni si ammalò gravemente, rimanendo paralizzato. Trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita paralizzato nell’infermeria del convento e, anche se sembra incredibile, trascorse questo tempo nell’oblio e nell’abbandono.

Il suo amore per gli schiavi, purificato fino al sublime

Un giovane schiavo fu designato per prendersi cura del malato, ma quell’infermiere non era altro che un ‘bruto sceriffo’. Mangiava la parte migliore del cibo destinato al paralitico, «lo martoriava anche quando lo vestiva, gestendolo con brutalità, torcendogli le braccia, picchiandolo e trattandolo con tanta crudeltà quanto disprezzo», racconta un testimone. E mai, da parte del santo, ci fu una parola di lamentela.

Previde la sua morte e chiese a un fratello se voleva che facesse qualcosa per lui nell’altra vita.

E quando morì accadde l’imprevedibile, ovvero Cartagena si risvegliò dal suo ingrato torpore e si rese conto che «era morto il santo», come cominciò a dirsi. Anche in piena agonia, molti gli passarono accanto per baciargli le mani e i piedi, per toccare oggetti con il suo corpo. I gesuiti non erano in grado di chiudere le porte del convento perché tutti volevano avere un ultimo contatto con il loro grande benefattore.

Morì l’8 settembre 1654.

(Con informazioni tratte da “San Pedro Claver: El esclavo de los esclavos” (San Pietro Claver: lo schiavo degli schiavi), di P. Pedro Morazzani Arráiz, EP)

 

 

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