La tradizione della “Macchina di Santa Rosa” a Viterbo
Ogni 3 settembre, più di 100 portatori trasportano la torre alta quasi 30 metri e del peso di 5 tonnellate, con la statua della patrona della città.
Foto: Vatican News
Redazione (09/09/2025 15:56, Gaudium Press) Il 3 settembre, come ogni anno, Viterbo, la città laziale, celebra la sua patrona con il trasporto della “Macchina” con la statua di Santa Rosa. La torre luminosa è portata a spalla da cento portatori ed è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità.
“La Macchina di Santa Rosa è una tradizione che unisce fede e popolo, ed è qualcosa che va vissuta di persona”, dice Cristina Pallotta, responsabile dell’ufficio stampa del Comune della città. Non si tratta di un semplice e imponente spettacolo visivo, ma di un rito che riunisce secoli di devozione e identità civica, che attira migliaia di persone.
Una storia che inizia nel 1258
L’origine della tradizione risale al XIII secolo. “Tutto iniziò nel 1258”, ricorda Pallotta, “quando, il 4 settembre, il corpo di Santa Rosa, inizialmente sepolto nella chiesa di Santa Maria in Poggio, fu trasferito nell’attuale monastero di Santa Rosa, alla presenza di quattro cardinali e del papa Alessandro IV”.
Quella processione segnò l’inizio di una memoria che non si è mai interrotta. Ogni anno la comunità ripeteva il rito fino a quando, intorno al 1600, prese forma l’idea di realizzare una “macchina”, ovvero una struttura verticale caricata sulle spalle in onore della santa.
Prima della creazione della macchina, in processione veniva portato solo un baldacchino con la statua di Santa Rosa, sempre in memoria di quel 4 settembre 1258. Dopo di allora, l’oggetto del trasporto collettivo si trasformò, crebbe, divenne sempre più imponente, fino a diventare quello che conosciamo oggi: una torre alta 30 metri.
Santa Rosa, una giovane, un miracolo
Santa Rosa morì molto giovane, a soli 18 anni, ma il suo percorso spirituale e umano segnò profondamente i suoi contemporanei.
“In vita, bussò alla porta del monastero delle Clarisse di San Damiano per essere accolta”, continua Pallotta, “ma non trovò posto. Allora disse loro: ‘Non mi volete ora che sono viva, ma sarete felici di accogliermi dopo la mia morte’. E così fu».
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Oggi il suo corpo è conservato in un’urna trasparente ed è meta di continui pellegrinaggi. «Ogni giorno migliaia di persone lo venerano – spiega Pallotta –, non solo i cittadini di Viterbo, ma fedeli provenienti da ogni parte del mondo. È un corpo piccolo, fragile, ma ispira tanto amore, fede e devozione “.
Foto: macchina di Santa Rosa. viterbo.it
La vita stessa di Rosa fu come un miracolo: ” Nata senza sterno, una condizione che rende difficile la sopravvivenza più di qualche anno, visse fino a 18 anni e compì diversi miracoli che ancora oggi sono ricordati”.
La Macchina “Dies Natalis”
Ogni cinque anni, la Macchina di Santa Rosa cambia forma. Il modello attuale si chiama “Dies Natalis” ed è stato creato dall’architetto Raffaele Ascenzi. Questo è stato il secondo anno in cui ha sfilato la “Dies Natalis”. La Macchina è una sorta di torre alta circa 30 metri, pesa 5 tonnellate ed è stata trasportata da 113 portatori di Santa Rosa.
Il numero dei portatori varia lungo il percorso: “Quando la Macchina passa per le strade più strette del centro storico, alcuni portatori non riescono a rimanere in formazione”. Questo rende la torre ancora più pesante per quelli che rimangono sotto.
Il trasporto avviene ogni 3 settembre, dopo le 21:00. “Le strade si spengono e rimangono illuminate solo dalla Macchina”, racconta Pallotta. “È come un campanile di luce che avanza sulle spalle dei portatori, nelle stesse strade che ricordano i luoghi dove visse la santa”.
I portatori, il cuore e la forza della festa
Il trasporto non sarebbe possibile senza i portatori, che a Viterbo costituiscono una vera e propria istituzione. Fanno parte del “Sodalizio dei Portatori di Santa Rosa”, guidato dal presidente Massimo Mecarini e dal “capo facchino” o “capo portatore”.
Il capo dei portatori, spiega Pallotta, “è la voce che guida tutti. Sotto la Macchina ci sono funzioni precise: quella delle ‘spallette’ ai lati, delle ‘stanghette’ davanti e dietro, e soprattutto dei cosiddetti ‘ciuffi’, che caricano il peso direttamente sulle spalle e non vedono la strada, perché la torre poggia dietro la nuca. Per loro, l’unico riferimento è la voce del capo dei portatori”.
Ci sono anche i portatori incaricati delle corde e delle leve, chiamati a intervenire soprattutto nel tratto finale. “Il percorso è di quasi un chilometro – conclude Cristina Pallotta – ma l’ultimo tratto è in salita e viene fatto di corsa. È un momento in cui l’emozione toglie il fiato, non solo a chi fa lo sforzo, ma anche a chi assiste”.
Con informazioni da Vatican News. Traduzione Gaudium Press.
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