La sordità spirituale
È necessario prestare molta attenzione a non usare i beni materiali in modo disordinato, cadendo in un completo oblio del soprannaturale e in una sordità spirituale alla voce di Dio.
Foto: Wiikipedia
Redazione (28/09/2025 14:55, Gaudium Press) La liturgia di questa 26ª domenica del tempo ordinario ci mette in guardia da un difetto pericoloso e sottile: la sordità spirituale, per cui dimentichiamo, a poco a poco, che la nostra vita continua dopo la morte, facendo dei piaceri terreni il nostro unico fine.
Contrasto tra i due personaggi
«C’era un uomo ricco che indossava abiti raffinati ed eleganti e ogni giorno dava feste sontuose. Un povero, di nome Lazzaro, coperto di piaghe, giaceva alla sua porta, bramoso di saziarsi con gli avanzi che cadevano dalla tavola del ricco, ma venivano i cani a leccargli le piaghe» (Lc 16,19-21)
Il Vangelo inizia con una descrizione contrastante. Da un lato, vediamo un uomo che possiede i privilegi più grandi: denaro in abbondanza, abiti di ottima qualità e cibo in abbondanza. Dall’altro lato, abbiamo Lazzaro, senza beni, salute o cibo, che dipende dagli avanzi del ricco per sopravvivere. Guardando con occhi puramente umani, la vita del primo sembra essere, senza ombra di dubbio, più felice.
Il giudizio e il passaggio alla vita vera
«Quando il povero morì, gli angeli lo portarono presso Abramo. Anche il ricco morì e fu sepolto. Nella regione dei morti, in mezzo ai tormenti, il ricco alzò gli occhi e vide da lontano Abramo, con Lazzaro al suo fianco» (Lc 16,22-23).
Come accade a tutti gli uomini, morirono entrambi. Del corpo di Lazzaro, prima coperto di piaghe, non abbiamo informazioni sulla sua sorte, ma della sua anima sappiamo che fu portata in Paradiso. Il ricco invece, di cui non conosciamo il nome, ebbe un destino ben diverso: fu condannato ai tormenti dell’inferno, da dove chiese ad Abramo di alleviare le sue sofferenze. Di fronte all’impossibilità di diminuire i suoi dolori, chiese allora per i suoi fratelli.
La sordità spirituale
«Il ricco insistette: “Padre, ti prego, manda Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Digli di pentirsi”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti, che ascoltino loro!”. Il ricco insistette: “No, padre Abramo, ma se uno dei morti andrà da loro, certamente si convertiranno”. Ma Abramo gli disse: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non crederanno nemmeno se qualcuno risuscitasse dai morti”» (Lc 16,24-31).
In questo brano colpisce il fatto che Nostro Signore affermi che, anche di fronte a un segno così evidente come qualcuno risorto dai morti, essi non avrebbero creduto. Perché tanta incredulità? Perché erano così concentrati sui piaceri terreni da avere l’anima sorda al mondo spirituale.
Il Vangelo non ce lo racconta, ma possiamo supporre che i fratelli godessero, proprio come il ricco, di una vita piacevole, senza alcuna sofferenza o disagio, che li portava a mettere in dubbio l’esistenza di un luogo di tormenti come l’inferno. In questo senso affermava San Giovanni Maria Vianney: «Molti perdono la fede. E credono nell’inferno solo quando vi entrano». [1]
Come possiamo evitare questa sordità? Si tratta di fuggire da ogni ricchezza o bene materiale e vivere nella miseria? Non necessariamente, perché la ragione dell’incredulità del ricco e dei suoi fratelli non era la ricchezza – che di per sé è neutra – ma l’uso improprio che ne facevano, facendo dell’esistenza su questa Terra il loro fine ultimo e non pensando alla vita dopo la morte.
Pertanto, per non cadere nello stesso errore, ascoltiamo il consiglio dell’Apostolo: «Tu che sei un uomo di Dio, fuggi le cose perverse, cerca la giustizia, la pietà, la fede, l’amore, la fermezza, la mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, conquista la vita eterna, alla quale sei stato chiamato» (1Tm 6,11-12), affinché anche noi un giorno possiamo incontrare Lazzaro, Abramo e tutti i Beati nei Cieli.
Di Artur Morais
[1] SAN GIOVANNI BATTISTA, apud MONNIN, Ab. A. Spirito del Curato d’Ars. 2a ed. Petrópolis: Vozes, 1949, pp. 80-81.
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