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Il cardinale Parolin commenta il nuovo rapporto di ACS sulla libertà religiosa

Il Cardinale Segretario di Stato era presente al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum per la presentazione del Rapporto 2025 sulla libertà religiosa nel mondo, pubblicato dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre.

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Redazione (22/10/2025 14:04, Gaudium Press) Il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha pronunciato il discorso inaugurale durante la presentazione del Rapporto 2025 sulla libertà religiosa nel mondo, elaborato dalla Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum.

Il cardinale ha sottolineato che il documento offre un’analisi approfondita delle dinamiche globali, rivelando un quadro allarmante: la libertà religiosa è gravemente limitata in 62 dei 196 Paesi analizzati, il che riguarda circa 5,4 miliardi di persone. In termini assoluti, circa due terzi della popolazione mondiale risiede in Paesi in cui si registrano gravi violazioni di questo diritto fondamentale.

Il cardinale ha inoltre evidenziato che l’edizione del 25° anniversario del rapporto è la più completa e solida dalla sua creazione, sottolineando un preoccupante aumento su base annua delle violazioni della libertà religiosa.

Nella sua presentazione in inglese, intitolata “25 anni del Rapporto sulla libertà religiosa dell’ACN: perché la libertà religiosa è importante a livello mondiale”, il cardinale ha fondato l’importanza globale della libertà religiosa su due pilastri principali: la Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, che affronta il diritto degli esseri umani e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia di religione, e l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che stabilisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”, il che include “la libertà di cambiare religione o credo e di manifestare, individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, la propria religione o il proprio credo attraverso l’insegnamento, la pratica, il culto e l’osservanza”.

Ricordando il 60° anniversario della Dignitatis Humanae, che sarà celebrato il 7 dicembre, il Cardinale l’ha descritta come “una pietra miliare fondamentale nella promozione della libertà religiosa, riconosciuta come un aspetto essenziale della dignità dell’esistenza umana”.

Ha poi concentrato l’attenzione sui vari aspetti trattati dal documento, tra cui i limiti della libertà religiosa, l’educazione all’esercizio della libertà e la libertà di fede.

Rapporto 2025

In questa edizione 2025 del Rapporto mondiale sulla libertà religiosa [1], i Paesi sono suddivisi in quattro categorie in base alla gravità delle violazioni della libertà religiosa:

“Persecuzione” si riferisce ad atti gravi e ripetuti di violenza o molestie, spesso compiuti nell’impunità.

“Discriminazione” implica restrizioni legali o sociali che colpiscono ingiustamente specifici gruppi religiosi.

“Sotto osservazione” include i Paesi che mostrano i primi segni di violazioni gravi, che richiedono una stretta sorveglianza.

“Conformità” si riferisce ai Paesi che non presentano violazioni significative e che, in generale, rispettano le norme internazionali sulla libertà di religione o di credo.

Persecuzione

Il rapporto indica che 24 Paesi si trovano ad affrontare persecuzioni. La libertà religiosa è una preoccupazione importante, con circa 4,1 miliardi di persone, pari a oltre la metà della popolazione mondiale, soggette a gravi violazioni della libertà religiosa. Questi Paesi includono nazioni popolose come l’India e la Cina, nonché Stati autoritari o devastati da conflitti come l’Afghanistan, la Nigeria, la Corea del Nord e l’Eritrea.

Discriminazione religiosa

Il Rapporto 2025 individua 38 Paesi in cui esiste discriminazione religiosa, che colpisce circa 1,3 miliardi di persone, pari a circa il 17,3% della popolazione mondiale. In questi Paesi, come Egitto, Etiopia, Messico, Turchia e Vietnam, le minoranze religiose devono affrontare restrizioni legali, politiche o sociali che limitano la loro libertà di credo e di culto, tra cui l’accesso limitato ai luoghi di culto, limitazioni all’espressione religiosa e un trattamento giuridico iniquo, anche se non vi è persecuzione diretta.

Le cause della discriminazione variano. In 28 Paesi prevale un unico fattore: l’autoritarismo statale, presente in 24 nazioni, come Algeria, Malesia, Venezuela e Turchia, che limita il pluralismo religioso; in Ciad prevale l’estremismo religioso; ad Haiti e in Messico il fattore principale è la criminalità organizzata; in Nepal è il nazionalismo etnico-religioso.

In altri 10 Paesi, la discriminazione è dovuta a molteplici fattori: in Egitto, Giordania, Iraq, Kuwait, Oman, Siria e Thailandia, si combinano l’autoritarismo statale e l’estremismo religioso. In Israele e Palestina, il nazionalismo etnico-religioso e l’estremismo si intrecciano; e in Sri Lanka, l’autoritarismo e il nazionalismo etnico-religioso sono i principali responsabili.

Controllo autoritario e repressione legale

Il rapporto evidenzia un modello regionale in America Latina, dove Paesi come Cuba, Haiti, Messico, Nicaragua e Venezuela sono classificati come Paesi che subiscono discriminazione o persecuzione, mentre altri sotto osservazione, come Bolivia, Cile, Colombia e Honduras, mostrano allineamenti politici o ideologici che compromettono la libertà religiosa. In questi contesti, la politicizzazione della religione, la pressione sulle chiese che si mostrano critiche nei confronti dei governi e le restrizioni alle organizzazioni religiose impegnate nell’istruzione, nel lavoro umanitario o nella difesa sociale, minano questo diritto. L’erosione della democrazia e la crescente rigidità ideologica aggravano il deterioramento della libertà religiosa all’interno di queste nazioni.

In altri Paesi, i governi utilizzano leggi e burocrazia per controllare o reprimere l’espressione religiosa. In Asia, la Cina intensifica la sua sinizzazione, sottoponendo musulmani e cristiani di etnia uigura a una conformità ideologica. Con le nuove normative del 2024 che impongono l’adesione ai valori socialisti, il cambio di nome dei villaggi tibetani e musulmani e la chiusura e la distruzione dei luoghi di culto, le leggi vietano l’educazione religiosa ai minori e limitano la loro partecipazione alle funzioni religiose.

In Corea del Nord, l’espressione religiosa è completamente vietata.

In Vietnam e Laos, le minoranze cristiane, in particolare quelle indigene, devono affrontare rinunce forzate, la distruzione di chiese e l’uccisione di pastori in assenza di alcuna protezione legale.

In Iran e Turkmenistan, i gruppi religiosi operano sotto la sorveglianza dello Stato e le comunità non registrate sono oggetto di arresti, vessazioni o chiusura forzata.

Fede sotto la minaccia delle armi

Il rapporto sottolinea l’influenza della criminalità organizzata sulla pratica religiosa in regioni con un controllo statale debole. In America Latina, in Paesi come Haiti, Messico, Ecuador e Guatemala, le chiese vengono saccheggiate, i leader religiosi rapiti e i culti regolati dai cartelli della droga. Ad Haiti, uno Stato in crisi, sacerdoti e suore sono spesso oggetto di rapimenti a scopo di estorsione, mentre le chiese diventano rifugi sicuri in zone senza legge. In Messico, gli omicidi di sacerdoti sono in aumento, mentre in Ecuador e Guatemala i culti legati alle bande criminali intrecciano religione e violenza.

In Africa, in paesi come il Burkina Faso, la Nigeria e la Repubblica Democratica del Congo, i leader e le comunità religiose devono affrontare violenze mortali e minacce costanti da parte di gruppi criminali e milizie non statali.

In diversi Paesi a maggioranza musulmana, la libertà religiosa continua ad essere gravemente limitata dall’interpretazione e dall’applicazione della sharia, che emargina le minoranze religiose e limita i diritti fondamentali. In Iran, i cristiani rischiano l’arresto per la partecipazione a funzioni religiose nelle case. In Pakistan, le accuse di blasfemia contro i non musulmani spesso sfociano in violenze di massa e procedimenti giudiziari. In Afghanistan, l’apostasia continua ad essere punita con la pena di morte.

Il rapporto sottolinea anche l’aumento dell’ostilità verso la religione in diverse regioni. In Canada, alcune chiese cattoliche sono state incendiate. In Spagna, Grecia e Croazia, simboli e processioni religiose sono stati oggetto di attacchi ideologici. In Belgio, i leader religiosi hanno subito sanzioni per essersi opposti all’ordinazione delle donne. Dopo il conflitto di Gaza, gli episodi di odio contro ebrei e musulmani si sono intensificati in Europa, mentre gli attacchi contro i cristiani sono proseguiti.

Il mondo digitale ha introdotto potenti strumenti di repressione. In diversi Paesi, i contenuti religiosi sono soggetti a censura online e le persone rischiano l’arresto per i loro post sui social media. I regimi autoritari utilizzano tecnologie di sorveglianza per monitorare le attività religiose, spesso etichettando le minoranze come estremiste. In Cina e Russia, la dissidenza online viene filtrata e punita, mentre le piattaforme religiose vengono bloccate.

[1] Con informazioni fornite da ACN Brasile

 

 

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