33ª Domenica del Tempo Ordinario: la fine del mio mondo
Dall’ammirazione dei discepoli per il Tempio di Gerusalemme scaturiscono le parole profetiche del Redentore sulla fine “del” mondo e sulla fine “di un” mondo. Il messaggio che essi ricevettero è rivolto anche a noi.

“Assedio e distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, sotto Tito”, di David Roberts – Collezione privata Foto: Riproduzione
Redazione (16/11/2025 12:38, Gaudium Press) Due sono i momenti cruciali nell’esistenza di un uomo: la sua nascita e la sua dipartita da questo mondo. I figli esiliati di Eva trovano un riposo singolare in entrambe le circostanze: quando entra nella vita, il bambino viene deposto in una culla, luogo associato alla speranza di ciò che diventerà in futuro; quando abbandoniamo la condizione terrena, tutti riceviamo una bara, una “dimora” legata al ricordo delle nostre vicende.
Tutta la storia umana deve essere interpretata in funzione del suo fine: il giudizio in cui Dio separerà i cattivi dai buoni, assegnando la punizione agli uni e la ricompensa agli altri, secondo le loro opere (cfr. Rm 2, 6).
Quando per l’ultima volta – il Martedì Santo – il Redentore uscì dal Tempio di Gerusalemme, i suoi discepoli rimasero estasiati dalla bellezza di quell’edificio ricostruito da Erode dopo quarant’anni. Il marmo bianco, impreziosito dal luccichio perenne dell’oro, mostrava tutta la sua magnificenza sotto i raggi del sole al tramonto.
Il Divino Maestro, partendo da questo movimento di ammirazione puramente umana – poiché l’opulenza esteriore dell’edificio copriva l’infedeltà che imperversava al suo interno –, volle dare loro il consiglio di riflettere sulla fine: «Voi ammirate queste cose? Verranno giorni in cui non resterà pietra su pietra. Tutto sarà distrutto» (Lc 21, 6). Con parole profetiche annunciava la fine di un mondo.
In effetti, la risposta di Gesù riguardava due ambiti di particolare interesse: la fine del Tempio di Gerusalemme e la fine del mondo. Le sue parole risuonano ancora oggi alquanto misteriose; ma le letture di questa domenica rendono sufficientemente chiara l’intenzione di Nostro Signore di prepararci alla fine.
La storia ha già visto la «fine di molti mondi». Basterebbe ricordare il tramonto dell’Impero greco o romano. A metà del III secolo, San Cipriano di Cartagine svelava il segno dei tempi che annunciava la fine del suo mondo: «Mancano agricoltori nei campi, marinai nei mari, soldati nelle caserme, onestà nel foro, giustizia nei tribunali, solidarietà nelle amicizie, abilità nelle arti, disciplina nei costumi»…
Tenendo conto dello stato attuale del nostro mondo, si può ipotizzare che la Provvidenza stia già preparando una nuova culla di speranza per la civiltà che deve nascere dall’amore autentico per il Regno di Dio.
La vera visione della Storia analizza tutto in funzione del suo protagonista, che è il Salvatore, e del suo Corpo Mistico, la Chiesa. Per non condividere la sorte del Tempio di Gerusalemme, dobbiamo avere Gesù Cristo come pietra angolare del nostro edificio spirituale. Agendo così, ascolteremo le parole rassicuranti del Redentore: «Non perderete neppure un capello del vostro capo. È rimanendo saldi che guadagnerete la vita!» (Lc 21, 18-19).
Di P. Thiago de Oliveira Geraldo, EP
Fonte: Rivista Arautos do Evangelho, novembre 2025.





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