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Pubblicato il nuovo Regolamento Generale della Curia: molti cambiamenti

Sembra che il Vaticano sia finalmente entrato nell’era della responsabilità istituzionale.

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Foto: Wikipedia

Redazione (26/11/2025 16:06, Gaudium Press) La pubblicazione del nuovo Regolamento Generale della Curia Romana segna una svolta strutturale e culturale che difficilmente potrà essere invertita. La sensazione dominante dopo la lettura dello statuto è che la Curia entri finalmente nel XXI secolo, non solo con adeguamenti amministrativi, ma con un radicale cambiamento di mentalità. Il testo non si limita a modificare qualche ingranaggio, ma cambia il motore.

Il primo elemento che salta agli occhi è la distinzione tra il Regolamento Generale della Curia Romana e il Regolamento del Personale. Finora, un unico documento mescolava norme amministrative e linee guida lavorative, creando un ibrido poco funzionale. Il nuovo modello separa le due sfere: una, regola la vita istituzionale e i processi, l’altra si occupa esclusivamente delle assunzioni, delle valutazioni, dei diritti e dei doveri dei dipendenti. L’impressione è quella di un ambiente molto più professionale, simile a quello delle moderne amministrazioni pubbliche. Questo cambiamento elimina l’ultimo velo di improvvisazione che ancora permaneva nel funzionamento interno della Santa Sede, qualcosa che non era più in linea con l’attuale complessità della governance ecclesiale.

Un altro punto di impatto è la questione linguistica. Fino a ieri, la norma era chiara: gli atti della Curia erano normalmente redatti in latino. Ora il latino perde lo status di lingua obbligatoria e convive alla pari con le lingue moderne. Non è più obbligatorio avere una “buona conoscenza del latino” per lavorare in Vaticano. Si tratta di un gesto simbolico, certo, ma di enorme peso culturale. Il latino rimane comunque considerato, ma il Vaticano riconosce che la sua amministrazione è globale e che non può funzionare come se fosse ancora legata al XVI secolo. Ciò rivela una necessaria apertura pratica affinché gli atti amministrativi siano comprensibili, rapidi e accessibili in tutto il mondo. Si raccomanda inoltre la traduzione dei documenti importanti nelle lingue più diffuse.

Lo statuto crea anche qualcosa che fino a poco tempo fa sembrava impensabile: il diritto dei fedeli a una risposta. Qualsiasi richiesta inviata ai dicasteri deve essere registrata, assegnata a un responsabile e ricevere una risposta. Il silenzio burocratico, che tante volte ha mascherato pressioni interne, omissioni e, in alcuni casi, persino gravi ingiustizie, ora lascia il posto a una procedura tracciabile. È un cambiamento enorme. La nuova regola segna la fine di questa cultura e rappresenta un chiaro sforzo di responsabilizzazione. Va detto che, fino a poco tempo fa, la risposta era una prassi consueta, che si è poi persa con il precedente pontificato.

Un altro elemento decisivo è il coordinamento istituzionale. La Curia cessa di agire come un arcipelago di dipartimenti isolati e inizia a funzionare come un corpo coeso, con scambio obbligatorio di informazioni, consultazioni interne, co-firmatari e relazioni periodiche. Questa integrazione segna anche il ritorno della centralità della Segreteria di Stato, che nel pontificato precedente ha subito alti e bassi a seconda della visione particolare del Papa. Ora, indipendentemente dalle preferenze personali del Pontefice, la struttura richiede il coordinamento e non tollera più che i dicasteri lavorino in modo autonomo e parallelo.

Un altro grande passo avanti è l’introduzione di motivazioni esplicite negli atti amministrativi e la possibilità formale di ricorso. Era una lacuna assurda che la Curia non fosse obbligata a giustificare i propri atti. Ora, ogni decisione deve citare le norme, presentare le ragioni e consentire il ricorso interno. La creazione di un registro digitale centralizzato, la cui validità è subordinata a un’adeguata notifica, evidenzia una transizione verso standard amministrativi internazionali; un cambiamento che rompe con una cultura storica di opacità, rafforzata più dalla tradizione che dalla dottrina.

Nel rapporto con le diocesi, gli istituti religiosi e i movimenti, il nuovo statuto richiede la consultazione preventiva e il rispetto dell’autorità locale. Ciò corregge una pratica che derivava sia dalle abitudini che da una certa rigidità romana, che ignorava le circostanze locali. Ora la Curia si pone giuridicamente nel ruolo che Praedicate Evangelium ha idealizzato: servizio, non tutela.

La digitalizzazione è uno degli ambiti più incisivi. Lo statuto prevede sistemi digitali certificati, archiviazione digitale, classificazione dei documenti sensibili in tre livelli, registrazione degli accessi e distruzione controllata dei documenti. Per anni si è detto che il Vaticano sembrava amministrativamente legato a metodi analogici. La riforma cerca di liberare definitivamente la Curia da risorse obsolete.

Un punto particolarmente significativo è la ridefinizione della cultura del lavoro. Lo statuto introduce la formazione continua obbligatoria, le valutazioni delle prestazioni, le regole di integrità e le dichiarazioni di conflitto di interessi; tutto questo è articolato nel nuovo Regolamento del Personale. Si tratta di un cambiamento profondo. Il dipendente della Curia non è più solo un dipendente istituzionale di fiducia, ma viene valutato secondo criteri professionali chiari.

Il testo, nel suo complesso, presenta una Curia che non è più una macchina farraginosa, mossa da precedenti e tradizioni non scritte. Si trasforma in un’amministrazione moderna, digitale, professionalizzata, trasparente e rendicontabile. La riforma non è di facciata. È una rifondazione giuridica e organizzativa. Il nuovo statuto sottopone ogni settore a norme verificabili e strutture tracciabili. La Curia non è più interpretata, ma letta; non opera più per tradizione tacita, ma per legge.

Cosa cambierà d’ora in poi? Cambierà quasi tutto. Cambierà il modo di decidere, registrare, rispondere, consultare, archiviare, coordinare, valutare, stipulare contratti e comunicare. Cambia il rapporto con i vescovi, con i fedeli, con i religiosi, con i movimenti e con il mondo. Cambia l’immagine della Chiesa stessa in campo amministrativo. Sembra che il Vaticano sia finalmente entrato nell’era della responsabilità istituzionale. La scelta di un americano per guidare il processo si è rivelata azzeccata.

 

 

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