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Sant’Agostino e la gloria della penitenza

 

Il 28 agosto la Chiesa celebra la memoria di Sant’Agostino, vescovo di Ippona e dottore della Chiesa. La sua figura memorabile, la sua conversione esemplare e la sua opera ineguagliabile saranno sempre oggetto di riverente e grata ammirazione cristiana.

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Redazione (28/08/2023 15:41, Gaudium Press) Le biografie di sant’Agostino si susseguono numerose. La sua vita movimentata e particolare è stata oggetto di numerosi scritti, di innumerevoli studi e divulgazioni, come se non bastasse descrivere i suoi mali e raccomandare i suoi esempi, si aggiungono  le sue stesse “Confessioni”.

Tuttavia, l’occasione della sua celebrazione richiede una parola in più. Non sarà eccessivo evocare per i nostri lettori il colossale e ricchissimo mistero del personaggio: la perversione, la conversione, la santificazione, la vita, l’epopea di quest’uomo la cui statura morale supera, nella Storia della Chiesa, tutti i limiti della grandezza.

Ma questa volta ci concentreremo su uno dei punti salienti di questa pietra preziosa, e questo basterà per una meditazione fruttuosa per le nostre anime cattoliche.

Agostino era un uomo perverso, che offriva sempre prove evidenti del male in cui stava sprofondando. Dove lo troveremmo se lo cercassimo negli anni della sua giovinezza a Cartagine o a Roma? A volte tra gli eretici manichei, a volte tra gli ubriaconi e i criminali. Aveva abbandonato il sacro deposito del buon esempio e dell’istruzione ricevuta dalla sua santa madre, Monica. Suo padre era pagano e lui divenne catecumeno, ma la malvagità iniziale di Agostino era andata oltre le sue origini paterne.

Quella povera anima aveva raggiunto un tale livello di degrado che diceva di aver raggiunto il gusto del male per il male, se mai fosse stato possibile. Il peccato lo aveva posseduto, il male cominciava ad affascinarlo, l’iniquità era una meta da perseguire e consumare.

Il caso delle pere divenne famoso. Rubare, che fascino aveva rubare, non per mangiare né per godere della dolcezza del frutto nascosto. Ciò che aveva più sapore era rubare. Non importa cosa. L’oggetto era un pretesto. Il fine era il male e questo gli bastava, cercando la propria ignominia nell’ignominia (cfr. Confessioni II, 4, 9).

Cercava di superare la malvagità dei suoi compagni e, quando non ci riusciva, “fingeva di aver fatto ciò che non aveva fatto”. (Confessioni II, 3, 7)

La sua conversione non fu istantanea come quella di San Paolo. Dio traccia un percorso diverso per ogni uomo. In ogni caso, ogni conversione, lenta o fulminante, è opera divina.

Per Agostino, il cammino è stato lungo e tortuoso, e la sua anima ha sofferto la violenza di una volontà divisa tra l’attrazione verso Dio e la sua bontà, e verso il mondo, le passioni e il peccato. Quando scorriamo rapidamente lo sguardo sul suo racconto compunto e sincero, non riusciamo a calcolare l’universo di dolori, lotte interiori, sofferenze morali e indecisioni che hanno lacerato la sua anima e scosso la sua speranza in quello che potremmo definire il processo di conversione.

Grazie a lui, però, oggi possiamo scoprire non tutto, ma molto di quello che succede dentro un’anima in queste occasioni. Capire meglio per poter aiutare se stessi e gli altri. Questa è stata una delle eredità più preziose che Sant’Agostino ha lasciato ai posteri, esponendosi all’umiliazione e cercando di trasmettere, per quanto possibile, ciò che accadeva nella “grande lotta della mia casa interiore”. (Confessioni VIII, 8, 19). Questa eredità equivale, anzi supera, qualsiasi messaggio di speranza, di incoraggiamento, qualsiasi consiglio puramente teorico che potremmo suggerire a un’anima bisognosa, che è in angoscia sulla strada della perfezione, o che sta rischiando le vie della disperazione. C’è l’esempio della sua vita a testimoniare l’onnipotenza e la profondità della Grazia divina.

La sua conversione ci porta, per il momento, a due importanti conclusioni.

La prima è quella che ha sostenuto molti cattolici complessi e tenaci come Santa Teresa di Gesù e Sant’Ignazio di Loyola durante il loro processo di conversione. Se siamo cattivi, non disperiamo. Se siamo terribili, non arrendiamoci. Se sperimentiamo la cattiveria umana oltre i limiti conosciuti dalla storia, avremo comunque una soluzione, perché la bontà di Dio non ha limiti e la conversione è opera della sola Grazia di Dio.

Se arriviamo a resistere a questa Grazia quando ci viene incontro, se sembra che la Grazia si sia arresa e ricadiamo nel pantano del peccato, guardiamo all’esempio di Agostino, l’uomo che, nel senso peggiore del termine, ha cercato di essere forte contro Dio, di resistergli, di vincerlo, finché, completamente sopraffatto, è caduto in ginocchio e, preso da profonda contrizione, ha esclamato come Geremia: “Tu eri più forte, avevi più potere!” (Ger 20,7).

La seconda porta speranza ai cristiani convertiti, almeno a quelli che si considerano tali, perché, non dimentichiamolo, la conversione è un lavoro quotidiano. Sì, c’è speranza per il mondo di oggi. Però le soluzioni non si trovano negli uomini o nelle opere degli uomini, ma in Dio e nelle opere di Dio. Riponiamo la nostra speranza innanzitutto in Dio, che fa dei persecutori degli apostoli, come da Saulo fece Paolo. Che trasforma i malvagi in maestri e pastori esemplari, come ha fatto di Agostino un santo, un apostolo instancabile, un confessore forte, una colonna di luce posta a illuminare sempre la vita cristiana e i sacri recinti. Quando è il momento giusto, Dio converte i cuori di alcuni uomini in modo che lavorino santamente per la sua Chiesa.

Il Divino Spirito Santo non ha mai abbandonato l’edificio sacro e mai lo farà. Il Corpo Mistico di Cristo non morirà mai; non cesserà mai di essere vivificato dalle grazie e dai carismi più diversi. Pertanto, la nostra speranza è in Dio e nella Grazia di Dio e possiamo essere certi che nessuna ostinata filantropia sarà in grado di trasformare questo profondo mistero che è il cuore di un uomo, come può fare la Grazia.

 

Di Gabriel Borges

 

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