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La Società del Rosario nella storia di “Lost in the Andes”

 La drammatica odissea dei ragazzi della squadra di rugby uruguaiana smarriti sulle Ande ,torna in scena nel fortunato film “La società della neve”. Ma esisteva anche una “Società del Rosario”.

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Redazione (17/04/2024 15:35, Gaudium Press)Magdalena Páez, chiamata Agó, riporta alla luce la realtà di una società spirituale materna, che sostenne con la sua preghiera la “Società della Neve”, i ragazzi ” Lost in the Andes” della squadra di rugby uruguaiana Old Christians Club, sopravvissuti 72 giorni tra le montagne. Era successo mentre viaggiavano il 13 ottobre 1972 sul volo 571 dell’Aeronautica Militare uruguaiana, diretto in Cile. Agó è la sorella di uno dei sopravvissuti, Carlitos Páez, e ha raccontato la sua storia a Refugio Zabala TV.

I piloti del bimotore turboelica avevano erroneamente creduto di aver raggiunto il corridoio aereo di discesa verso la capitale cilena, ma toccarono il ciglio di una montagna che causò il distacco di entrambe le ali dalla fusoliera e della sezione di coda, mentre il corpo dell’aereo continuò a scivolare giù dalla montagna finché, a velocità ridotta, toccò un ghiacciaio nella provincia di Mendoza, in Argentina.

La forza della preghiera delle madri di questi ragazzi diventa più evidente se si pensa che una settimana dopo l’incidente le autorità avevano perso le speranze di ritrovarli e avevano interrotto le ricerche.

Ma la “società della pianura” ora chiamata “società del Rosario”, composta dalle madri e dalle fidanzate dei ragazzi, non avevano perso la speranza che la Madre di Dio li avrebbe aiutati. Nella casa di Madelón, la madre di Agó, si riunivano ogni pomeriggio per recitare il Rosario per i dispersi.

“Lei era una fonte di luce e di speranza per tutti noi nel bel mezzo della disperazione. La sua fede incrollabile in Dio ci ricordava che non eravamo mai soli, anche nelle circostanze più difficili”, sottolinea Agó.

Il rosario di Madelón

“La fede ci ha sostenuto durante quei giorni bui sulle Ande. Ci ha ricordato che la vita ha uno scopo più grande e che anche in mezzo alla tragedia possiamo trovare forza e speranza in Dio”, dice la sorella di Carlitos, che racconta anche che il giorno in cui suo fratello stava per imbarcarsi sull’aereo, che lo avrebbe portato non a Santiago, ma tra le bianche e fredde nevi, sua madre gli aveva regalato un rosario.

Era un oggetto molto prezioso, il rosario nuziale di Madelón, lo stesso con cui i sopravvissuti pregavano ogni notte prima di cercare di dormire all’interno della fusoliera. Mio fratello le aveva detto di non darglielo, ma lei aveva insistito dicendogli di portarlo con sé perché lo avrebbe accompagnato”, commenta Agó.

“Ora, quando mi chiedono come abbiamo fatto a superare quei 72 giorni, rispondo che è stato grazie alla preghiera alla Vergine. Non si può pensare che una madre possa sopportare tanto senza versare una sola lacrima. Sempre con la forza, senza mai smettere di cercarla. Quella forza veniva da Dio, non c’erano dubbi”, confessa la sorella di Carlos Páez.

Ogni pomeriggio, la mia casa era come il ‘club del rosario’, tutte le madri e le fidanzate degli scomparsi venivano, molte di nascosto, perché i loro mariti dicevano che a casa mia eravamo tutte pazze, che tutto quello che facevamo era motivarci su qualcosa che non sarebbe stato reale”. La madre di uno dei sopravvissuti si nascondeva dietro le piante per non essere vista e per poter pregare: era sicura che suo figlio fosse vivo”.

“Quando erano già trascorsi molti giorni dall’incidente, il medico di famiglia venne a casa e disse a me e a mia sorella di dire a mia madre di abituarsi all’idea che Carlitos non sarebbe potuto tornare. Andammo a dirglielo e nostra madre ci disse: ‘In questa casa, chi non crede, se ne va’. E così siamo rimasti”, racconta Agó Páez nel Refugio Zavala.

La Provvidenza premiò la tenacia e la perseveranza nella preghiera.

Con informazioni di Religión En Libertad.

 

 

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