Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide?
04 GIUGNO 2021
VENERDÌ DELLA IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
San Francesco Caracciolo, Sacerdote
Mc 12,35-37
In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.
Commento:
Il Signore sembra negare la sua ascendenza davidica. Invece, quello che vuol dire è ben diverso.
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Nostro Signore mette a dura prova la scienza degli scribi, una sorta di teologi e maestri dell’epoca. Infatti, gli scribi insistevano sulla figliolanza davidica del Messia, il che era senz’altro un aspetto importante. Tuttavia, non volevano capire la divinità di Gesù, di fronte alla quale, l’ascendenza umana del Signore, resta totalmente nell’ombra.
Gesù desidera dunque correggere un difetto tipico dell’essere umano, che è guardare la realtà delle cose per il suo versante più terreno. La pigrizia di vedere aldilà della materialità, di capire la trascendenza delle cose, la “metafisica” della realtà, è un difetto classico del genere umano, che porta a situazioni critiche ed illogiche sia dal punto di vista individuale che sociale.
Così gli scribi volevano il figlio di Davide, però avevano in antipatia il Figlio di Dio. Si trattava della stessa Persona, presa per angolature diverse, tutte vere. La divinità, però, era più importante. Che importa essere figlio di un re terreno, quando si è il primogenito del Padre Eterno? E questa sfumatura, talmente essenziale, gli scribi pieni di scienza, ma vuoti d’amore, non la volevano capire. Altrimenti, la riverenza si sarebbe dovuta trasformare in adorazione, l’accettazione in sottomissione completa, la vita sarebbe dovuta diventare sequela ed imitazione. E a tale estremo il loro orgoglio gli impediva di arrivare.
Anche noi, cattolici, sovente guardiamo le cose con lo sguardo di uno scriba. Le mogli vedono il marito come un uomo pesante, difficile da sopportare, invece di capire che lui dovrebbe essere per loro l’immagine di Cristo. Altrettanto fanno i mariti che, spazientiti dal loro orgoglio, guardano la rispettiva moglie come se fosse una donna capricciosa e ingovernabile, mentre lei dovrebbe essere per loro l’immagine della Chiesa stessa. Si fa lo stesso con il clero. Lo si guarda per il suo aspetto più umano. In certi posti addirittura si consentono i suoi gravi difetti e peccati affermando che “anche il prete è uomo”. In altri si biasima tutta la chiesa perché non vede che il comportamento dei preti a volte è debole e troppo umano. Per quale motivo? Abbiamo smesso di guardare le persone per quello che dovrebbero essere secondo la chiamata di Dio, con i propositi di collaborare mediante la carità, perché possano raggiungere quel traguardo. Il risultato è che l’immagine della Chiesa Madre, che circola tra noi suoi figli, è quella di una matrigna piena di difetti. E noi ci sentiamo giustificati nei nostri vizi e peccati, perché anche la Chiesa sarebbe così.
Abbiamo dimenticato l’amore di Cristo per la sua Sposa mistica? Non vediamo i segni di grande santità e di bellissima sacralità che ci sono ancora nella Chiesa? Non vogliamo in ogni caso lottare per presentarla senza rughe né macchie davanti al suo Signore? E questo si fa principalmente impegnandoci nella personale santificazione.
Guardiamo la realtà con gli occhi del Signore. La Chiesa oggi e i cristiani soffrono tanto per le piaghe causate dai peccati, ma in generale tale sofferenza proviene del fatto che vogliamo solo considerare gli aspetti terreni e fallimentari, a volte deturpati ed ampliati ingiustamente, dalla calunnia. E non per amore alla verità, ma per calmare la nostra propria coscienza: “tanto, se i preti fanno così… allora io posso pure vivere come mi pare”.
Per chi desidera la santificazione personale, i difetti degli uomini di Chiesa e dei cattolici in generale, causano dolore e costituiscono una sfida. E la sfida è questa: l’unica cosa che vale la pena in questa vita e dedicare sé stessi, con tutte le forze, a lottare per la santificazione delle anime, perché sia ripristinata quella visione giusta delle cose, che fa sì che i cristiani, senza perdere il contatto indispensabile con la realtà, trascendano sempre aldilà della materialità terrena delle cose per capirle con gli occhi di Dio.
Così non vollero fare gli scribi e finirono molto male. Facciamo noi in modo corretto, e riceveremo la corona della vita nell’eternità.
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