Dal peluche….al cellulare
Sui bambini lo schermo ha un doppio effetto negativo: sui contenuti che vedono e, soprattutto, su ciò che smettono di fare per il tempo che vi trascorrono. Non giocano, non corrono, non sviluppano l’immaginazione, non interagiscono!
Redazione (11/03/2024 14:06, Gaudium Press) Quando sentiamo la frase di Nostro Signore Gesù Cristo: “Lasciate che i bambini vengano a me”, vediamo espresso il particolare amore per loro durante la loro vita mortale. Fu per questo motivo che Papa San Pio X, l’8 agosto 1910, stabilì, con il Decreto “Quam Singulari“, che essi potessero essere ammessi alla Prima Comunione a partire dall’età di sette anni.
L’evangelista San Marco (10, 13-14), trasmette il compiacimento di Gesù nei confronti delle madri che gli portavano i loro figli perché imponesse loro le mani, li benedicesse, li abbracciasse. Ma i suoi discepoli, contaminati dalla mentalità del tempo, li allontanavano. Gesù si “arrabbiò” per questo, correggendo l’atteggiamento sbagliato con le gravi parole: “Non glielo impedite, perché il regno di Dio appartiene a quelli come loro”.
L’innocenza dei bambini la vediamo ancora oggi quando passiamo del tempo con loro: la loro gioia e la loro immaginazione, la loro felicità di vivere ma, purtroppo, questo mondo moderno decadente sta schiacciando le cose meravigliose destinate a stupirli.
Aprendo gli occhi, nel loro cammino verso l’uso della ragione, i bambini si trovano di fronte a una cosa o a un’altra che li lascia affascinati, e aggiungono agli oggetti qualcosa che non hanno. Entrano con ammirazione, in un mondo di meraviglie che, purtroppo, sta gradualmente cessando di esistere. Che si tratti di una giraffa con il suo collo alto, di un colibrì nel suo volo elegante e agile, di una semplice formica che trasporta una foglia, molte volte più grande di lei, o di una farfalla dai colori speciali, solo il bambino – nei giorni paganizzati in cui viviamo – sviluppa il suo stupore, perché non vede ancora solo la realtà materiale e concreta.
I bambini hanno capacità immaginativa davanti al gioco. Nella loro plasticità mentale, ad esempio, quando giocano con un peluche, questo diventa un gioco simbolico, ne fanno addirittura un amico. Se rappresenta un piccolo animale, ad esempio un orsacchiotto, si prendono cura di lui, gli danno da mangiare, gli parlano e giocano con lui.
Questa azione infantile fa sviluppare le loro capacità, tra cui quella espressiva, perché, parlando loro ad alta voce, si ascoltano, perfezionano il linguaggio e la parola, passano dal capire le parole al dirle, oltre a rilassarsi e a regolare il loro stato emotivo. Per non parlare dello sviluppo della loro creatività e non solo.
Da neonati, quando la figura della madre è fortemente presente con il nutrimento, la protezione e persino il calore del suo corpo, i peluche sono una forma di piacere e di sicurezza, e spesso li aiutano a dormire da soli.
In genere, iniziano a cercare questi oggetti di attaccamento a circa 9 mesi di vita, e questi ricoprono un’importante funzione psicologica, relazione che abbandonano tra i 4 e i 6 anni, quando entrano nella fase della loro autonomia e della capacità di socializzare con altri bambini, diventando indipendenti. A poco a poco si dimenticano di loro, ma li tengono da qualche parte nella loro stanza.
Quando giocano, se li osserviamo, capiremo il loro mondo interiore – così indecifrabile – in quanto li considerano compagni di gioco, amici inseparabili e danno loro persino dei nomi.
In psicologia evolutiva questi fenomeni vengono definiti attaccamento transitorio, ma svolgono una funzione importante per il neonato o il bambino, trasmettendogli sicurezza, protezione, compagnia, fonte di piacere, un modo per esplorare il mondo circostante.
Nell’ultimo secolo, un’accelerazione della rivoluzione tecnologica ha portato alla sostituzione del peluche e, peggio ancora, delle parole, dei sorrisi, degli abbracci, nei loro confronti.
Gli adulti hanno sempre meno tempo da dedicare ai loro figli. Per le loro occupazioni, scelgono di dare loro un dispositivo con cui giocare, o li lasciano, se sono più grandi, da soli davanti a uno schermo, usando la tecnologia come un manichino emotivo….
Le istituzioni sanitarie si esprimono
Una ricerca condotta dall’Istituto Nazionale Francese per la Salute e la Ricerca Medica ha evidenziato che i bambini di 2 anni sono esposti a 3 ore di schermo al giorno, quelli di 8 anni a quasi 5 ore e gli adolescenti a più di 7 ore. Spesso l’equivalente di un anno di vita prima dei sette anni.
A questi bambini viene negata la cosa migliore che si possa dare loro: il legame emotivo, che ha un’enorme influenza su molti aspetti della vita.
Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato che i bambini non guardino gli schermi fino ai due anni di età e che trascorrano al massimo un’ora davanti a essi tra i tre e i quattro anni. I suoi esperti hanno precisato che “anche meno tempo è meglio”.
L’American Academy of Pediatrics raccomanda di non utilizzare alcun dispositivo elettronico prima dei 18 mesi. Tra i 18 e i 24 mesi, se i contenuti sono adatti all’età, ma accompagnati da un adulto. Tra i 2 e i 5 anni, non più di un’ora al giorno e con la supervisione di un adulto. A partire dai 6 anni, il tempo deve essere limitato e il contenuto deve essere appropriato e non deve influenzare il sonno, la socialità e l’attività fisica.
Il motivo è semplice: gli schermi hanno un doppio effetto negativo sia per i contenuti e, soprattutto, per quello che smettono di fare per il tempo che vi passano. Non giocano, non corrono, non sviluppano l’immaginazione, non interagiscono!
La relazione tra l’uso degli schermi e la salute mentale è una questione importante, non solo per l’impatto che può avere sullo sviluppo cognitivo, ma anche perché sta cambiando il modo in cui adulti e bambini si legano. I bambini hanno bisogno di poter guardare un volto, di interpretare un’emozione vedendo i gesti di chi parla, soprattutto la propria madre. Il bambino è una persona che va ascoltata e merita di essere accudita; ha bisogno di contatto sociale e di comunicazione, altrimenti non acquisirà più le competenze legate alle relazioni interpersonali, con particolare attenzione ai primi anni di vita. L’età prescolare è la fase in cui il cervello si evolve più velocemente e gli schermi finiscono per avere un impatto sullo sviluppo neurologico, con effetti negativi sulle capacità linguistiche, di lettura, emotive, sociali e persino motorie.
Se diamo solo distrazione digitale…, stiamo dando “cibo spazzatura mentale” a neonati e bambini piccoli. Se li teniamo davanti a uno schermo, si perdono molte cose: le espressioni facciali, il tono della voce e il linguaggio del corpo tra un bambino e un genitore.
Tutto questo, sfruttando la loro flessibilità neuronale, non è solo bello, ma favorisce anche il corretto apprendimento e lo sviluppo delle capacità del bambino. Altrimenti il potenziale dei loro primi anni di vita andrà sprecato.
Chi ha problemi con gli schermi sono in realtà i genitori, poiché questi li allontanano dall’interazione con i figli. Molti sono attaccati ai loro telefoni e non parlano abbastanza con i loro figli. È necessario ripristinare le routine familiari, le passeggiate a contatto con la natura e la disconnessione dagli schermi per entrare in contatto con i figli. Non prendiamoci in giro: i bambini imparano di più dalle esperienze reali che da uno schermo.
Di P. Fernando Gioia, EP
www.reflexionando.org
(Pubblicato originariamente su La Prensa Gráfica de El Salvador, 10 marzo 2024).
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