Eucaristia, il centro della vita cristiana
L’Eucaristia è il più grande e sublime di tutti i sacramenti. Sebbene il Battesimo, da un certo punto di vista, meriti il primo posto per averci introdotto alla vita divina, rendendoci figli di Dio e partecipi della sua natura, l’Eucaristia lo supera in termini di sostanza, poiché è il vero Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Redazione (02/06/2024 15:30, Gaudium Press) La solennità del Santissimo Corpo di Cristo nacque anche per contrastare la perniciosa influenza di alcune idee eretiche che si stavano diffondendo tra il popolo, a scapito della vera Fede.
Già nell’XI secolo, Berengario di Tours si era apertamente opposto al Mistero dell’Altare, negando la transustanziazione e la presenza reale di Gesù Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle sacre specie. Secondo lui, l’Eucaristia non era altro che pane benedetto, dotato di un simbolismo speciale. All’inizio del XII secolo, l’eresiarca Tanquelmo diffuse i suoi errori nelle Fiandre, soprattutto nella città di Anversa, sostenendo che i Sacramenti, e in particolare la Santissima Eucaristia, non avessero alcun valore.
Sebbene tutte queste false dottrine fossero già state condannate dalla Chiesa, alcuni loro echi nefasti si sentivano ancora in tutta l’Europa cristiana. Perciò Urbano IV non ritenne superfluo censurarle pubblicamente per privarle di ogni prestigio e penetrazione.
L’Eucaristia diventa il centro della vita cristiana
Dal momento in cui Urbano IV emanò la bolla Transiturus de hoc mundo, che stabiliva la celebrazione solenne della festa del Corpus Domini in tutta la Chiesa, la devozione eucaristica fiorì con maggior vigore tra i fedeli: gli inni e le antifone composte da San Tommaso d’Aquino per l’occasione – tra cui la Lauda Sion, un vero e proprio compendio di teologia del Santissimo Sacramento, da alcuni chiamato il credo dell’Eucaristia – vennero ad occupare un posto di rilievo nel tesoro liturgico della Chiesa.
Nel corso dei secoli, sotto il soffio dello Spirito Santo, la pietà popolare e la saggezza del Magistero infallibile si sono unite per creare le usanze, gli usi, i privilegi e gli onori che oggi accompagnano il Servizio dell’altare, formando una ricca tradizione eucaristica.
Già nel XIII secolo c’erano grandi processioni che portavano il Santissimo Sacramento per le strade, prima in un tabernacolo coperto, e in seguito esposto in un ostensorio. Anche in questo caso, il fervore e il senso artistico delle varie nazioni posero grande cura nel creare ostensori che rivaleggiassero per bellezza e splendore, realizzare ornamenti appropriati e stendere immensi tappeti floreali lungo il percorso della processione.
I papi Martino V (1417-1431) ed Eugenio IV (1431-1447) concessero generose indulgenze a chi partecipava alle processioni. Più tardi, il Concilio di Trento – nel suo Decreto sull’Eucaristia del 1551 – avrebbe sottolineato il valore di queste dimostrazioni di fede: “Il santo Sinodo dichiara che è una pia e religiosa usanza, introdotta nella Chiesa di Dio, quella di celebrare ogni anno con singolare venerazione e solennità, in un giorno festivo e particolare, questo eccelso e venerabile Sacramento, portandolo in processione per le vie e i luoghi pubblici con riverenza e onore”.
Tuttavia, l’amore eucaristico del popolo fedele non si limitava a manifestazioni esteriori; al contrario, esse erano espressione di un sentimento profondo posto nelle anime dallo Spirito Santo, per valorizzare il dono prezioso della presenza sacramentale di Gesù tra gli uomini, secondo le sue stesse parole: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Il mistero d’amore di un Dio che non solo si è fatto come noi per salvarci dalla morte del peccato, ma ha voluto, in un atto di estrema tenerezza, rimanere tra i suoi, ascoltando le loro richieste e rafforzandoli nelle loro tribolazioni, diventando così il centro della vita cristiana, il nutrimento dei forti, la passione dei santi.
San Pietro Giuliano Eymard, ardente devoto e apostolo dell’Eucaristia, espresse con parole piene di grazia questa “follia” celeste del Salvatore nel rimanere come Sacramento di vita per noi:
“È comprensibile che il Figlio di Dio, trascinato dal suo amore per l’uomo, si sia fatto uomo come lui, perché era naturale che il Creatore avesse a cuore la riparazione dell’opera uscita dalle sue mani. Anche il fatto che, per un eccesso di amore, l’Uomo-Dio sia morto sulla croce è comprensibile. Ma ciò che non si può più comprendere, che stupisce i deboli nella fede e scandalizza gli increduli, è che il glorioso e trionfante Gesù Cristo, dopo aver terminato la sua missione sulla terra, voglia ancora rimanere con noi in uno stato più umiliato e annichilito che a Betlemme e sul Calvario”.
“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”.
L’Eucaristia è il più grande e il più sublime di tutti i Sacramenti. Sebbene il Battesimo, da un certo punto di vista, meriti il primo posto in quanto ci introduce alla vita divina, rendendoci figli di Dio e partecipi della sua natura, l’Eucaristia lo supera in termini di sostanza, poiché è il vero Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il momento stesso e le circostanze solenni in cui fu istituita indicano la sua importanza e la venerazione che Cristo volle instillare nelle anime dei suoi discepoli per questo meraviglioso Sacramento. Per questo riservò agli Apostoli, le ultime ore che gli restavano prima della sua morte, perché “gli ultimi atti e le ultime parole che gli amici fanno e dicono nel momento della separazione sono più profondamente incisi nella memoria e più fortemente impressi nell’anima”.
In quei momenti – si può dire – il suo adorabile Cuore batteva con un’urgenza santa di realizzare, nel tempo, ciò che aveva contemplato da tutta l’eternità nella sua divina conoscenza. Le sue parole: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima di soffrire” (Lc 22,15), rivelano chiaramente l’ineffabile anelito d’amore del Dio incarnato per tutti gli uomini, la “moltitudine dei fratelli” (Rm 8,29), per i quali si sarebbe offerto quella stessa notte.
Il desiderio del Divino Maestro era che il mistero del suo Corpo e del suo Sangue si perpetuasse nei secoli a venire: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Tuttavia, dobbiamo considerare che molto prima dell’Incarnazione, la Divina Provvidenza aveva moltiplicato i simboli e le figure che avrebbero permesso agli uomini di comprendere e amare meglio questo Sacramento.
A questo proposito, San Tommaso d’Aquino dice: “Questo Sacramento è soprattutto un memoriale della Passione di Cristo; ed era opportuno che la Passione di Cristo, con la quale ci ha redenti, fosse prefigurata affinché la fede degli antichi fosse indirizzata verso il Redentore”.
Il Salvatore ha scelto la notte di Pasqua, la principale festa ebraica, per lasciare all’umanità la sua eredità d’amore, rendendo noto che Egli stesso è l’Agnello senza macchia, dato alla morte per togliere i peccati del mondo, con il cui sangue sarebbe stata rimossa la sentenza di condanna che gravava su di noi dalla caduta di Adamo ed Eva.
Inginocchiamoci davanti al Tabernacolo!
Quale deve essere il nostro atteggiamento e il nostro sentimento dell’anima quando consideriamo l’estrema bontà del Dio fatto Uomo che, incarnatosi, non ha abbandonato la creatura redenta dal suo sangue, ma rimane presente, assistendo e sostenendo tutti coloro che vogliono avvicinarsi a Lui?
Inginocchiamoci davanti al Tabernacolo o, meglio ancora, all’Ostensorio, affidiamo a Gesù nel Santissimo Sacramento tutto il nostro essere – il nostro corpo con tutte le sue membra e i suoi organi, la nostra anima, con le sue capacità, le sue qualità e anche le nostre miserie – e offriamo a Dio Padre il Sangue divino di suo Figlio, versato sulla Croce in riparazione delle nostre colpe.
Come i raggi del sole che cadono sul viso e lo lasciano arrossato e brunito, così anche davanti al Santissimo Sacramento la nostra anima riceve una rinnovata infusione di grazie, che invita ad abbandonarci completamente nelle mani di Gesù, attraverso Maria. In questo modo, le nostre anime saranno trasformate verso la santità a cui Dio ci chiama.
E se in qualche momento le difficoltà della vita ci fanno sentire scoraggiati o aridi, ricordiamoci di queste toccanti parole di padre Faber:
“Spesso, quando un uomo è preso dalla disperazione e assalito da domande, dubbi, scoraggiamenti e incertezze nel considerare la sua vita, e si sente circondato da nemici, che ululano intorno a lui come bestie furiose, allora un impulso, che è una grazia, lo porta a inginocchiarsi davanti al Santissimo Sacramento e, senza che faccia alcuno sforzo, ecco che tutti quei clamori sprofondano nel silenzio. Il Signore è con lui: le onde si sono calmate, la tempesta si è placata e il viaggio si concluderà direttamente nel punto desiderato. È bastato uno sguardo al volto di Gesù perché le nubi si dissipassero e apparisse la luce. Lo splendore del Tabernacolo riappare come il sole”.
Testo tratto, con adattamenti, dalla rivista Araldi del Vangelo n. 90, giugno 2009. Di Sr Clara Isabel Morazzani Arráiz, EP.
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