Giotto e Dante Alighieri
Alla fine del Medioevo nacquero a Firenze due artisti destinati a segnare la storia: Giotto e Dante Alighieri.
Redazione (20/04/2024 16:03, Gaudium Press) Figlio di piccoli proprietari terrieri, Giotto nacque nel 1266 e sin da piccolo faceva il pastore. Un giorno il pittore Cimabue, passando da quei luoghi, ammirò il suo talento, dopo aver visto i suoi disegni a carboncino su una pietra. Poco dopo divenne il suo maestro.
Giotto progredì così tanto nella pittura che molti lo richiedevano per realizzare degli affreschi. Le sue opere nelle basiliche di Firenze e Assisi, nonché nella cappella degli Scrovegni a Padova, lo collocano – in misura minore rispetto al Beato Angelico – tra i migliori pittori mai esistiti.
Lavorò anche a Roma, Milano e Bologna. Morì a Firenze nel gennaio 1337.
Il dottor Plinio Corrêa de Oliveira disse di lui:
“C’è un gran silenzio sulla sua persona. O perché era molto buono e i cattivi vorrebbero tenerlo nascosto, o perché era molto cattivo e i buoni vogliono nasconderlo. Non è chiaro. Insomma, Giotto ha dipinto molti quadri, secondo me intensamente impregnati di soprannaturale”.
Il banchiere Enrico Scrovegni costruì una cappella nei pressi di Padova e chiese a Giotto di affrescarla. Egli eseguì 53 affreschi sulle pareti, considerati il suo capolavoro.
Nella cappella degli Scrovegni “appaiono scene caratterizzate da un’innocenza ancora del tutto medievale, in una magnifica atmosfera soprannaturale”[1].
Dante divenne nemico di Bonifacio VIII
Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà. Studiò le arti, le scienze, la filosofia, la teologia e gli autori classici latini, soprattutto Virgilio (70-19 a.C.).
Nel 1300 fu eletto membro del Consiglio di Firenze e divenne uno dei sei che amministravano la città.
Quando il Medioevo era nel suo splendore massimo, “la Religione istituita da Gesù Cristo, saldamente stabilita nel grado di dignità ad essa dovuto, fioriva ovunque, grazie al favore dei principi e alla legittima protezione dei magistrati”.
“Allora il sacerdozio e l’impero erano legati da una felice concordia e dall’amichevole scambio di buoni uffici”[2].
Ma al tempo di Dante l’Europa era dilaniata dalle violente aggressioni degli imperatori di Germania contro il Papato; in altri termini, si era infranta l’unione tra “il sacerdozio e l’impero”.
E l’Italia era divisa politicamente tra due partiti in guerra: i guelfi in difesa del Papa e i ghibellini alleati dell’imperatore. Dante si unì ai guelfi bianchi, ma nemici di Bonifacio VIII e finì per essere esiliato nel 1302.
Padre della lingua italiana
Si mosse per varie città italiane, tra cui Padova, dove incontrò Giotto, cui chiese di dargli lezioni di pittura, poiché Dante aveva l’animo di un artista.[3] Morì a Ravenna nel 1321 all’età di 56 anni.
Dante ha acquisito fama mondiale per la sua opera la “Divina Commedia”, in cui descrive un viaggio da lui compiuto nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, aiutato da Virgilio e Beatrice, nomi simbolici per indicare la ragione e la conoscenza mistica.
Daniel Rops, dopo aver tessuto le lodi di questa opera, scrive:
“La Divina Commedia è un’opera piuttosto difficile” da comprendere. Contiene “dissertazioni aride sulla botanica, l’alchimia, la mineralogia e la fisiologia (…) e discussioni astratte sulla scolastica e la teologia”. È anche difficile “per l’uso costante di allegorie, allo scopo di nascondere il suo vero pensiero per mezzo di una preoccupazione esoterica”[4]
Di fatto, Dante fu un precursore del movimento culturale e artistico rivoluzionario chiamato Rinascimento. Dice Ockam (1285-1347): “In un passo della Divina Commedia, il poeta dice che il governo del mondo è esercitato dal dio fortuna, in contrasto con la saggezza e la bontà di Dio, che premia e castiga gli uomini secondo i loro meriti e le loro colpe”[5]
Luci di fede piene d’amore
Ma in quest’opera ci sono molti concetti e raffigurazioni che esprimono verità importanti.
“Nella Divina Commedia, Dante immagina l’Inferno come un immenso cono capovolto, con la base in alto e il vertice in basso. Questo cono è formato da diversi cerchi concentrici che si restringono man mano che si scende. Alla punta del cono c’è Satana.
“Il geniale poeta fiorentino non avrebbe potuto descrivere in modo più eloquente le intime relazioni che legano tra loro tutte le eresie. Apparentemente molto diverse l’una dall’altra, tutte hanno comunque dei caratteri che le accomunano e che sono come l’asse centrale attorno al quale ruotano. Inoltre, tendono tutte verso lo stesso abisso, con Satana stesso al fondo.
“La parte di verità che molte dottrine eretiche ancora ammettono sono sempre elementi estranei ai loro principi generali, che si distaccano gradualmente da essi fino a scomparire del tutto”[6].
“La fede può essere chiamata, secondo la bella espressione di Dante, luce intellettuale piena di amore, amore pieno di ogni bene. Nella Chiesa, il vero amore nasce da una considerazione attenta e intelligente della Verità, attraverso la quale la volontà si orienta verso il Bene e si stabilisce in esso, e non nell’esaltazione artificiale e disordinata della sensibilità. Le luci della Fede sono piene di amore. E questo amore è pieno di ogni bene”[7].
Il riflesso di Dio negli occhi della Madonna
“Dopo aver attraversato l’Inferno e il Purgatorio, sale attraverso i vari cerchi dei beati, fino a raggiungere il più alto coro angelico, cioè il vertice della Dimora Celeste, dove comincia a vedere la gloria di Dio”.
È una luce diffusa che i suoi occhi non possono sostenere”. Poi nota un altro essere al di sopra degli Angeli: la Madonna. La Vergine gli sorride e Dante vede nei suoi occhi il riflesso della luce increata della Maestà eterna.
“La Divina Commedia è finita. Quando si è guardato negli occhi vergini della Madonna, non si ha altro da contemplare che Dio, faccia a faccia. Perché lo sguardo umano ha contemplato lo sguardo purissimo, lo sguardo sacro, lo sguardo regale, lo sguardo indicibilmente materno della Madonna.
“Tutto è compiuto: la Divina Commedia si conclude nel pensiero più alto che un figlio di Eva possa raggiungere. La Madonna è il fiocco d’oro – o di un materiale ancora più prezioso – che unisce l’intera creazione a Nostro Signore Gesù Cristo, di cui è l’apice e la bellezza suprema”[8].
Di Paulo Francisco Martos
Nozioni di storia della Chiesa
[1] CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Immagini impregnate di soprannaturale. In Dr Plinio. São Paulo. Ano 20, n. 226 (gennaio 2017), p. 30.
[2] LION XIII. Immortale Dei, 1/11/1885.
[3] Cfr. PICCAROLO, A. La Divina Commedia. San Paolo: Folco Masucci. 1965, p. 7.
[4] DANIEL-ROPS, Henri. La Chiesa delle cattedrali e le crociate. San Paolo: Quadrante. 1993, v. III, p. 672.
[5] Cfr. CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Il Rinascimento: un colpo contro il cristianesimo. In Dr Plinio. Anno II, n. 20 (novembre 1999), p. 32.
[6] Idem. O Legionário, São Paulo, 22-11-1931.
[7] Idem. Il Legionario, 7-12-1944.
[8] Idem. L’apice dorato della creazione. In Dr Plinio. Anno IV, n. 43 (ottobre 2001), p. 16.
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