Il Purgatorio, luogo di purificazione.
Quale misterioso luogo è questo tra la Terra e il Cielo, i cui “abitanti” chiedono con insistenza il nostro aiuto e possono anche beneficiarci?

Celebrazione di una Messa in suffragio delle anime del purgatorio, di Bernardo Despuig e Jaime Cirera – Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, Barcellona (Spagna) Foto: Francisco Lecaros
Redazione (02/11/2025 14:40, Gaudium Press) “Mettiti d’accordo senza indugio con il tuo avversario, mentre sei ancora in cammino con lui, affinché non ti consegni al giudice, e il giudice ti consegni al suo ministro e tu sia messo in prigione. In verità ti dico: da lì non uscirai prima di aver pagato fino all’ultimo centesimo” (Mt 5, 25-26).
Gesù stava parlando agli Apostoli delle punizioni che attendono i peccatori dopo la morte. In precedenza aveva fatto riferimento al fuoco della Geenna – l’Inferno –, una prigione perpetua, eterna. Ma qui parla di una prigione dalla quale si potrà uscire, a condizione che venga pagato il debito, fino all’ultimo centesimo.
Questa prigione temporanea, uno stato di purificazione per coloro che muoiono cristianamente senza aver raggiunto la perfezione, è il Purgatorio. Un luogo misterioso, ma dove regna la speranza e i gemiti di dolore sono intervallati da canti d’amore a Dio.
Caro lettore, ecco un argomento di cui si parla poco, ma la cui conoscenza è vitale per noi e per i nostri cari che hanno già lasciato questa vita.
Ti invito a ripercorrere con me diversi aspetti di questo importante tema.
La solennità dei Defunti
Il 2 novembre, la sacra Liturgia ricorda in modo speciale i fedeli defunti. Dopo aver celebrato il giorno precedente, nella festa di Ognissanti, i trionfi dei suoi figli che hanno già raggiunto la gloria del Cielo, la Chiesa rivolge la sua materna sollecitudine a coloro che soffrono nel Purgatorio e gridano con il salmista: “Liberami da questa prigione, affinché io possa rendere grazie al tuo nome. I giusti mi circonderanno quando mi avrai concesso questo beneficio» (Sal 141, 8).
L’origine di questa celebrazione risale alla famosa abbazia di Cluny, quando il suo quinto abate, Sant’ Odilone, istituì nel calendario liturgico cluniacense la «Festa dei Morti», offrendo ai suoi monaci un’occasione speciale per intercedere per i defunti, aiutandoli a raggiungere la beatitudine del Cielo.
Da Cluny, questa commemorazione si diffuse tra i fedeli fino a essere inclusa nel Calendario Liturgico della Chiesa, diventando una devozione comune a tutto il mondo cattolico.
Forse il lettore, come migliaia di altri fedeli, ha l’abitudine di visitare il cimitero in questo giorno, per ricordare i familiari e gli amici defunti e pregare per loro. Molti cristiani, tuttavia, non ascoltano gli appelli del loro cuore, che li spinge a sentire la mancanza dei loro cari e ad alleviare il loro dolore con una preghiera. Forse per mancanza di cultura religiosa, o per l’assenza di qualcuno che li incoraggi o li guidi, molte persone non vedono nemmeno la necessità di pregare per le anime dei defunti. Per innumerevoli altri, l’esistenza del Purgatorio suscita estraneità e antipatia.
In ogni caso, sia per amore delle anime che sperano di liberarsi dalle loro macchie per entrare in Paradiso, sia per incoraggiare in noi la carità verso questi fratelli bisognosi, sia per il nostro stesso bene, vediamo il “perché” e il “per cosa” dell’esistenza del Purgatorio.
Purificazione necessaria per entrare in Paradiso
Sappiamo che la Chiesa cattolica è una. È ciò che recitiamo nel Credo. Ma i membri della Chiesa non sono tutti qui, tra noi, ma in luoghi diversi, come dice il Concilio Vaticano II. Alcuni «sono pellegrini sulla terra, altri, dopo questa vita, sono purificati, altri, infine, sono glorificati» (Lumen Gentium, 49).
Tra la terra e il Cielo non è raro che, nel percorso dell’anima fedele, si verifichi una fase intermedia di purificazione. Come ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, vi passano «coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma non sono perfettamente purificati». Per questo «dopo la morte, passano attraverso una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del Cielo» (n. 1030).
Questo stato di purificazione non ha nulla a che vedere con la punizione dei condannati all’Inferno, poiché le anime del Purgatorio hanno la certezza di aver conquistato il Paradiso, anche se il loro ingresso è stato rinviato a causa dello stato di peccato in cui si trovano.
La prima Lettera ai Corinzi fa riferimento all’esame a cui saranno sottoposti i cristiani che, avendo ricevuto la fede, devono continuare in sé l’opera della loro santificazione. Ciascuno sarà esaminato in relazione al grado di perfezione raggiunto: «Se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno o paglia, l’opera di ciascuno apparirà. Il giorno (del giudizio) la mostrerà. Sarà scoperta con il fuoco; il fuoco proverà il valore dell’opera di ciascuno. Se la costruzione resisterà, il costruttore riceverà la ricompensa. Se prenderà fuoco, ne sopporterà i danni. Sarà salvato, ma passando in qualche modo attraverso il fuoco» (1Cor 3, 12-15). «Sarà salvato», dice l’Apostolo, escludendo il fuoco dell’Inferno, nel quale nessuno può essere salvato, e si riferisce al fuoco temporaneo del Purgatorio.
Commentando questo e altri passaggi della Sacra Scrittura, la Tradizione della Chiesa ci parla del fuoco destinato a purificare l’anima, come spiega San Gregorio Magno nei suoi Dialoghi: «Per quanto riguarda alcune colpe lievi, è necessario credere che, prima del Giudizio, esista un fuoco purificatore, come afferma Colui che è la Verità, dicendo che se qualcuno ha pronunciato una bestemmia contro lo Spirito Santo, quella persona non sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12, 31). Da questa frase possiamo capire che alcune colpe possono essere perdonate in questo secolo, ma altre nel secolo futuro».
Perché esiste il Purgatorio?
Dio è così severo da non tollerare nemmeno la più piccola imperfezione, punendola con pene severe? Questa domanda può sorgere facilmente nella nostra mente.
In primo luogo, dobbiamo ricordare questa verità: dopo la nostra morte, non saremo giudicati secondo i nostri criteri, perché «ciò che l’uomo vede non è ciò che conta: l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16, 7). Saremo davanti a un Giudice sommamente santo e perfetto, e nel suo Regno «non entrerà nulla di profano» (Ap 21, 27). Infatti, al cospetto di Dio, della sua Luce purissima, l’anima percepisce in sé ogni piccolo difetto, giudicandosi indegna di tanta maestà e grandezza. Santa Caterina da Genova, grande mistica del XV secolo, ha lasciato un’opera molto profonda sulla realtà del Purgatorio e dell’Inferno. Ella così spiega: «Dico ancora: per quanto riguarda Dio, vedo che il Paradiso non ha porte e chiunque lo desideri può entrarvi, poiché Dio è tutto misericordia e le sue braccia sono sempre aperte per accoglierci nella gloria; ma l’Essenza divina è così pura – infinitamente più pura di quanto possiamo immaginare – che l’anima, vedendo in sé la più piccola delle imperfezioni, preferisce gettarsi in mille inferni piuttosto che apparire sporca alla presenza della divina Maestà. Sapendo quindi che il Purgatorio è stato creato per purificarla, essa stessa vi si getta e vi trova grande misericordia: la distruzione delle sue colpe».
Quali sono queste macchie, che devono essere purificate nell’altra vita?
Sono i resti di un attaccamento eccessivo alle creature, cioè le imperfezioni e i peccati veniali, nonché il debito temporale dei peccati mortali già perdonati nel Sacramento della Riconciliazione. Tutto ciò fa diminuire nell’anima l’amore di Dio.
A causa di questi affetti disordinati si instaura uno stato di disordine nel nostro intimo, che ci allontana dal comandamento di amare Dio sopra ogni cosa.
Questa è la ragione per cui, prima di permettere a un’anima di salire alla gloria celeste, «la giustizia di Dio esige una pena proporzionata che ristabilisca l’ordine turbato» (Summa Theologica, Suppl. q. 71, a. 1).
E l’anima si sottomette alla punizione del Purgatorio con gioia, in piena conformità con la volontà del Signore. Il suo unico desiderio è quello di vedersi purificata, per potersi configurare a Cristo.
Le anime in questo stato «si purificano», dice San Francesco di Sales, «volontariamente, amorevolmente, perché così vuole Dio» e «perché sono certe della loro salvezza, con una speranza senza pari».
La pena del Purgatorio
I dolori inflitti in questo luogo di purificazione sono «così intensi che la minima pena del Purgatorio supera la più grande di questa vita» (Summa Theologica, Suppl., q. 71, a. 2). Tuttavia, riflette San Francesco di Sales, «il Purgatorio è uno stato felice, più desiderabile che temibile, poiché le fiamme che vi esistono sono fiamme d’amore».
Ma come possiamo comprendere che questa terribile sofferenza sia pervasa dall’amore?
In realtà, il più grande tormento delle anime del Purgatorio — la «pena del danno» — è causato proprio dall’amore. Questa pena consiste nel rinvio della visione di Dio. Creato per amare ed essere amato, l’uomo, abbandonando questa terra, scopre l’ineffabile bellezza della Luce Divina e desidera correre verso di Lei con tutte le sue forze, come il cervo assetato corre verso la fonte delle acque. Tuttavia, vedendo in sé il difetto del peccato, viene temporaneamente privato di quella presenza così pura. Allontanata così da Colui che è la suprema e unica felicità, l’anima prova un dolore incalcolabile.
Per noi, che siamo ancora pellegrini in questa valle di lacrime, è difficile comprendere l’immensità di questo dolore. Viviamo senza vedere Dio, anche se crediamo in Lui. Siamo come ciechi dalla nascita, perché non abbiamo mai visto il Sole della Giustizia, che è Dio; anche se ne sentiamo il calore, non possiamo immaginare il suo splendore e la sua grandezza.
Invece, le anime beate del Purgatorio, subito dopo aver abbandonato il corpo inerte, hanno scorto l’ineffabile e purissima bellezza di Dio, ma non possono possederla immediatamente. Santa Caterina da Genova usa una metafora espressiva per spiegare questo dolore: «Supponiamo che nel mondo intero esista un solo pane per sfamare tutte le creature, e che basti guardare quel pane per essere sazi. Per sua natura, l’uomo sano ha l’istinto di nutrirsi. Immaginiamo che sia in grado di astenersi dal cibo senza morire, senza perdere la forza e la salute, ma aumentando sempre più la fame. Ora, sapendo che solo quel pane può saziarlo e che non potrà placare la sua fame finché non lo raggiungerà, soffre sacrifici insopportabili, che saranno tanto più grandi quanto più lontano sarà dal pane».
Nonostante tutto, le anime del Purgatorio hanno la certezza che un giorno potranno saziarsi pienamente con questo Pane della Vita, che è Gesù, il nostro amore. E per questo la loro sofferenza è completamente diversa dal tormento dei dannati all’Inferno, che non potranno mai avvicinarsi alla Mensa del Regno dei Cieli. Speranza e disperazione, ecco la differenza fondamentale tra questi due luoghi.
Disposizione delle anime nel Purgatorio
Per questo, nelle anime del Purgatorio c’è una sfumatura di gioia in mezzo al dolore. Lo spiega brillantemente Papa Giovanni Paolo II, nel discorso del 3 luglio 1991: «Anche se l’anima deve sottoporsi, in quel passaggio verso il Cielo, alla purificazione delle ultime scorie, attraverso il Purgatorio, essa è già piena di luce, di certezza, di gioia, perché sa di appartenere per sempre al suo Dio».
E Santa Caterina da Genova afferma: «Sono certa che in nessun altro luogo, eccetto il Cielo, lo spirito possa trovare una pace simile a quella delle anime del Purgatorio».
Ciò accade perché l’anima si fissa nella disposizione in cui si trova al momento della morte, cioè contro o a favore di Dio, poiché la libertà umana termina con la morte. E poiché è morta in amicizia con Dio, l’anima del Purgatorio si adatta docilmente alla sua santa volontà. Perciò conserva la pace in mezzo a terribili sofferenze.
Dalle labbra del dolcissimo San Francesco di Sales sentiamo dire che «tra l’ultimo respiro e l’eternità c’è un abisso di misericordia». Tutti ritengono che sia meglio fare uno sforzo per evitarlo. Altri, invece, senza contraddire ai primi, affrontano il problema con audace fiducia nell’amore misericordioso del Signore.
Santa Teresa di Gesù, ad esempio, dice con forza: «Sforziamoci di fare penitenza in questa vita. Quanto sarà dolce la morte di chi l’avrà fatta per tutti i suoi peccati, e così non dovrà andare in Purgatorio!». La sua discepola, Santa Teresa del Bambino Gesù, formula in modo sorprendente il suo atteggiamento se dovesse cadere in Purgatorio: «Se andrò in Purgatorio, ne sarò molto contenta; farò come i tre ebrei nella fornace, camminerò tra le fiamme cantando il canto dell’amore».
Un atteggiamento non contraddice l’altro, anzi si completano a vicenda, e anche se dovessimo passare per quel luogo così doloroso, nutriamo una fiducia illimitata nella bontà divina.
In ogni caso, la Santa Chiesa mette a nostra disposizione con materna benevolenza le indulgenze, per risparmiarci le pene del Purgatorio. Ma questo argomento può essere trattato in un altro articolo.
Aiutiamo le anime benedette
Non dobbiamo pensare solo al nostro destino personale, ma dobbiamo anche chiederci come possiamo aiutare quelle anime che sono già in attesa della liberazione. Esse non possono fare nulla per se stesse, poiché sono impossibilitate a conseguire meriti, e dipendono da noi. Intercedere per loro è un’opera di misericordia bellissima e preziosa: in un certo senso, non c’è nessuno più bisognoso di loro.
L’usanza di pregare per le anime dei defunti risale all’Antico Testamento. Anche diversi Padri della Chiesa hanno promosso questa pratica, come San Cirillo di Gerusalemme, San Gregorio di Nissa, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino. Nel XIII secolo, il Concilio di Lione insegnava: «Le anime traggono beneficio dai suffragi dei fedeli viventi, cioè dal sacrificio della Messa, dalle preghiere, dalle elemosine e da altre opere di pietà, che, secondo le leggi della Chiesa, i fedeli sono soliti offrire gli uni per gli altri».
Com’è bella la devozione alle anime benedette del Purgatorio! È gradita a Dio e giova anche a noi, portandoci alla vera dimensione cristiana dell’esistenza, facendoci vivere in contatto e comunione con il soprannaturale e con il futuro, nel senso più pieno della parola. Quanto ci saranno grate queste povere anime quando riceveranno il nostro aiuto! Potrebbero essere nostri parenti, o anche i nostri genitori. Potrebbe essere qualcuno che non conosciamo e che ci accoglierà con affetto nell’eternità. In Paradiso, e mentre sono ancora in Purgatorio, pregheranno per noi con tutto il loro impegno, perché Dio dà loro questa possibilità.
Concludendo, vorrei fare una proposta al caro lettore: pregate per queste anime bisognose, offrite loro delle Messe, fate l’elemosina per loro, fate dei sacrifici e fate in modo che altre persone diventino devote ferventi delle anime benedette.
Sapete chi ne trarrà il maggior beneficio? Voi stessi!
Articolo tratto dalla rivista Arautos do Evangelho n. 59, novembre 2006. Di P. Carlos Javier Werner Benjumea, EP.





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