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Intervista al ‘genio’ cattolico sull’intelligenza artificiale: o medici migliori o armi mortali

Padre Paolo Benanti, esperto nella materia, è stato anche incaricato dall’ONU per la regolamentazione dell’IA e fa parte di una commissione del Governo italiano su questo tema.

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Foto: COPE

Redazione (30/01/2025 12:20, Gaudium Press).Il canale spagnolo COPE ha pubblicato un’intervista a quello che è considerato il massimo esperto della Chiesa in materia di Intelligenza Artificiale, il sacerdote francescano Paolo Benanti. Questo sacerdote ha ricevuto un incarico dall’ONU per la regolamentazione dell’IA e fa anche parte di una commissione del Governo italiano su questo tema.

È uno specialista di etica, bioetica ed etica delle tecnologie, professore all’Università Gregoriana e principale consigliere del Papa in materia di IA.

Pubblichiamo di seguito alcuni estratti dell’intervista. I sottotitoli sono di Gaudium Press:

Domanda: Francescano, teologo, esperto di intelligenza artificiale, con quale di questi mondi Paolo Benanti si identifica maggiormente?

Risposta: Direi che dipende. Se ci incontriamo in chiesa al mattino, direi francescano. Se ci vediamo in classe, professore, e se ci vediamo in un comitato internazionale, esperto di intelligenza artificiale.

D: Quando si leggono notizie sull’intelligenza artificiale in grado di fare sempre più cose, lo si fa con timore o con entusiasmo. Come si pone di fronte alle novità sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale?

R: Da un certo punto di vista, non c’è tecnologia che in qualche modo non parli della grandezza dell’uomo. E dal punto di vista della fede, questo è qualcosa che diremmo del nostro Creatore. Ma dobbiamo anche essere consapevoli di qualcosa di molto antico. Antico quanto l’uomo. Quando 60.000 anni fa eravamo in una grotta e per la prima volta abbiamo preso in mano una clava, un bastone: era uno strumento per aprire più noci di cocco o un’arma per aprire più crani?

C’è questa dualità della tecnologia. E così, quando oggi sentiamo parlare di questi grandi prodigi dell’intelligenza artificiale, dovremmo essere consapevoli che potrebbero essere grandi prodigi che aiuteranno i medici a essere medici migliori, i giudici a essere giudici migliori, ci aiuteranno a vivere meglio come uomini…. oppure potrebbero essere armi mortali che aumenteranno le differenze, le disuguaglianze, che saranno ciò che permetterà ai pochi di controllare i molti.

D: Regolamentare l’intelligenza artificiale significa limitarla?

R: Beh, questo è un termine che va chiarito perché potremmo pensare che l’unica funzione dell’etica o della legge sia quella di essere un collare, come quello che si mette a un cane, per evitare che scappi. Se la intendiamo in questo senso, non rendiamo un servizio né all’intelligenza artificiale, né all’etica, né al diritto.

Circa cento anni fa, per la prima volta, abbiamo creato macchine che andavano più veloci dell’uomo, l’automobile. Abbiamo creato una forma di regolamentazione che non doveva impedire alle macchine di andare dove volevamo, ma prevenire gli incidenti tra uomo e macchina. Ebbene, il codice della strada non ha impedito all’automobile di svilupparsi. Abbiamo avuto la Ferrari, la Lamborghini, auto anche molto veloci, ma gli incidenti sono stati evitati, e oggi si tratta di fare la stessa cosa. Si tratta di mettere delle barriere protettive che in qualche modo permettano alla macchina di non danneggiare l’uomo.

D: Lei, e anche Papa Francesco, insistete sull’idea che sia fondamentale “mettere l’uomo al centro dello sviluppo dell’IA”. Cosa significa mettere l’uomo al centro dello sviluppo dell’intelligenza artificiale?

R: Possiamo avere una macchina che prende sempre più il posto dell’uomo. Pensiamo al giornalismo. Potremmo avere una macchina che prende il posto di ogni giornalista e abbiamo semplicemente tolto l’uomo dal centro di questa innovazione. Oppure potremmo avere una serie di sistemi che permettono al giornalista di fare meglio il suo lavoro, di vedere meglio la prospettiva della notizia, di fare fact checking, di capire meglio e più velocemente cosa sta succedendo. Si tratta degli stessi algoritmi, ma con due modelli di sviluppo molto diversi. Da una parte c’è una macchina che sostituisce l’uomo, dall’altra c’è una macchina che aumenta le capacità dell’uomo. Questo è ciò che intende il Papa, una macchina che dà all’uomo un controllo significativo su ciò che accade e ci aiuta a essere più umani.

 

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D: Il rapporto dell’uomo con le macchine non è nuovo. L’umanità ha vissuto la Rivoluzione industriale, che finora è stata la grande interazione tra uomo e macchina che ha portato alle maggiori trasformazioni sociali. Quali differenze e quali somiglianze vede con quell’epoca?

R: Da un primo punto di vista, possiamo considerare l’intelligenza artificiale come l’ultimo anello temporale di questa catena, che è una catena di automazione, quando la macchina ha iniziato a prendere il posto dei muscoli dell’uomo e ci ha aiutato a fare più cose. Questa volta, però, usiamo l’informazione per controllare la macchina e questo crea una macchina che è in grado di fare qualcosa che nessuna macchina ha fatto fino ad ora. E quando abbiamo, per esempio, uno di quei robot che spazza il pavimento, che pulisce la stanza, ecco che improvvisamente non solo prende il posto della nostra fatica, ma acquisisce da noi un fine, pulire, e poi sceglie i mezzi con cui pulire. Ecco, una macchina che adatta i mezzi al fine è una macchina che non abbiamo mai visto e dobbiamo ricordare che il fine non giustifica i mezzi.

La domanda chiave

D: E come questo ci trasformerà come società? In altre parole, quale patrimonio non sarà più esclusivamente umano, ma condiviso con l’intelligenza artificiale?

R: Questa è la domanda chiave ed è forse anche per questo che la Chiesa è così al centro di questo dibattito. Non possiamo evitare di porci delle domande o di porci delle domande sulla macchina senza sollevare improvvisamente delle domande sull’uomo, su chi siamo o su quale sia la nostra specificità. È molto interessante perché dopo un periodo in cui pensavamo che le grandi scimmie fossero umane come noi, improvvisamente una macchina che si comporta come noi ci fa riconoscere che c’è qualcosa di unico nella nostra condizione. E così ci troviamo in questo cambiamento epocale, questa era digitale, come chiamo uno dei miei testi, che ci mostra semplicemente che dobbiamo avere la forza di dire a noi stessi chi siamo e qual è il nostro destino.

D: Qual è il contributo più importante della Chiesa allo studio dell’intelligenza artificiale?

R: Abbiamo questa lunga tradizione di riflessione che è la Dottrina sociale della Chiesa, e nella Dottrina sociale della Chiesa ci sono alcuni principi fondamentali. Quello che dobbiamo riconoscere è che l’intelligenza artificiale è un moltiplicatore, riesce a moltiplicare quello che trova, potrebbe moltiplicare le ingiustizie o moltiplicare i nostri sforzi di carità politica, di carità sociale e quindi di giustizia. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa, questa è la questione più importante, cioè trasformare l’innovazione, che è la capacità di fare qualcosa di meglio, in una forma di sviluppo, qualcosa che contribuisca al bene comune. Questa è forse la prospettiva principale che vediamo al momento sull’intelligenza artificiale.

Intelligenza artificiale e Dio

D: L’intelligenza artificiale può aiutarci a conoscere meglio Dio o ad aumentare la nostra vita di fede? O non è questo il suo campo?

R: Diciamo che l’intelligenza artificiale può fare qualcosa di diverso. Cambia il modo in cui accediamo alle informazioni e dobbiamo riconoscere che ognuno di noi crede in qualcosa. Se si chiedesse se crediamo che la realtà sia fatta di atomi, tutti risponderebbero di sì. Ma quanti hanno visto gli atomi?

Tutti credono in un’informazione letta da qualche parte. Quindi credere non è solo per chi ha fede. Ebbene, l’intelligenza artificiale, essendo l’interfaccia che ci porta le informazioni, ha fatto sì che quando all’intelligenza artificiale è stato chiesto chi fosse, ha dovuto credere a ciò che l’intelligenza artificiale le diceva. Solo l’intelligenza artificiale collega i dati tra loro in modo non dissimile da come in passato un prete in un tempio collegava le viscere di un pollo alle stelle del cielo. Così potremmo generare una nuova fede in questi nuovi oracoli.

È qui che la fede e l’intera riflessione teologica della Chiesa ci aiutano a riconoscere se stiamo guardando all’intelligenza artificiale con una prospettiva scientifica o con una prospettiva pseudo-religiosa, che credo non ci porti nella giusta direzione.

 

 

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