La Chiesa deve dare l’esempio in materia di giustizia: i casi Becciu, Rupnik, Cipriani
“La Chiesa ha elevato il Diritto al livello del divino, alla grandezza dell’universale e al regno non del capriccio ma dell’oggettività”.
Foto: Alex Vasey su Unplash
Redazione (03/02/2025 15:48, Gaudium Press) Dire che la Chiesa ha inventato il Diritto sarebbe forse un’esagerazione, perché il Diritto è stato inventato da Roma, ma con radici greche.
Ma non è affatto esagerato dire che la Chiesa ha elevato il Diritto al livello del divino, alla grandezza dell’universale e al regno non del capriccio ma dell’oggettività. È ciò che ha fatto con l’elaborazione della Legge Naturale e del Diritto delle Nazioni, che non è altro che il riconoscimento che il Creatore ha dotato la creatura umana di un’essenza ben definita, di una natura comune a tutti, e che questa natura deve essere rispettata e trattata con giustizia come un obbligo che deriva da Dio, il Creatore della natura. Affermare che Roma ha inventato il Diritto Naturale è inesatto; significa semplicemente ignorare la storia delle legioni e delle schiere di schiavi, o delle guerre condotte al solo scopo di favorire la sanguinosa espansione della metropoli.
Vale la pena ricordare tutto ciò che San Tommaso ha fatto, ad esempio, per completare la teorizzazione del Diritto Naturale (il vero fondamento di quelli che oggi vengono chiamati “diritti umani”, laddove siano realmente tali…), o ciò che Francisco de Vitoria fece nel campo del Diritto Internazionale, per vedere se gli uomini potevano essere liberati dalla legge selvaggia del più forte o delle nazioni più forti (il cosiddetto diritto “umanitario” non è che uno sviluppo della teorizzazione del diritto della Chiesa).
La Chiesa ha mostrato al mondo che, sebbene la carica di giudice e di ogni autorità legittima che giudica, abbia un’origine divina, il suo esercizio deve essere radicato nel divino e deve rispondere al divino, sapendo che giudicare nel Diritto finisce per essere sinonimo di giudicare secondo Dio e la sua volontà, alla quale un giorno tutti dovremo rispondere.
Poiché la Chiesa è la “lunga mano” di Dio su questa terra e la custode del Diritto, è chiaro che ha la missione di insegnare e predicare in questi campi. Ma è ovvio che deve anche applicare, quando è essa stessa il giudice. Tutti i popoli devono vedere che la Chiesa predica ma anche applica, altrimenti perde credibilità e persino autorità.
Questa lunga premessa serve a delineare una critica (costruttiva) a tre casi recenti che hanno attirato e continuano ad attirare l’attenzione di milioni e milioni di persone: il caso Becciu, il caso Rupnik e ora il caso Cipriani.
In nessuno dei tre casi abbiamo la certezza che i provvedimenti disciplinari o penali emessi siano conformi alla verità dei fatti. Lo sa Dio, e noi non abbiamo letto le 700 pagine della sentenza nel caso del cardinale italiano, né abbiamo accesso ai dettagli delle varie decisioni riguardanti l’ex gesuita, e ancor meno conosciamo le complessità delle disposizioni riguardanti il cardinale peruviano, che, a quanto afferma, nemmeno lui conosce.
Ma non ci sfugge, ad esempio, che non sono mancati studiosi che hanno evidenziato varie anomalie nel caso del cardinale Becciu, a partire da almeno due rescritti papali che hanno modificato norme procedurali di un processo già in corso, minando così il principio della certezza del diritto e, in qualche misura, il principio di irretroattività della legge. È chiaro che questa non è una critica al Papa, ma a quei subordinati che avrebbero dovuto vigilare su tali questioni.
La critica al caso Rupnik è più dolorosa, perché si tratta del caso più mediatico di (presunto) abuso clericale della storia (ed estremamente grave, anche se il cardinale Fernandez dice che ci sono casi più gravi), e le vittime, tutte, e l’imputato stesso meritano un processo rapido e quello che oggi si definisce “trasparente”, cioè un processo in cui le presunte vittime e tutta la Chiesa sappiano in termini generali cosa stia accadendo a livello processuale, e abbiano accesso a queste informazioni. Ma questa “trasparenza”, come ha ammesso pubblicamente una volta il cardinale Müller, è qualcosa che non può essere assicurata in questi casi a livello di diritto ecclesiastico.
E ora quello che sta accadendo con il cardinale Cipriani.
Se un cardinale di Santa Romana Chiesa può essere quasi mandato in esilio e vedersi revocare ciò che ha di più prezioso, cioè l’esercizio del suo ministero, senza nemmeno una notifica giudiziaria e senza essere stato ascoltato, cosa possono aspettarsi gli altri mortali che fanno parte della barca terrena di Cristo, quando sarà il loro turno.
Ma insistiamo, il danno non è solo per il prestigio e l’autorità della Chiesa, ma anche per la Diritto nel mondo intero, data la prestigiosa partecipazione della Chiesa alla sua organizzazione.
Inoltre, i principi della certezza del Diritto, dell’irretroattività giuridica, della trasparenza giudiziaria e dell’accesso all’informazione e al giusto processo sono oggi patrimonio di tutte le nazioni che vogliono presentarsi come civili e rispettose dei diritti umani.
Riteniamo che questi principi debbano essere sacralmente custoditi all’interno della Chiesa, anche perché la Chiesa, come già detto, ha elevato il Diritto al livello del sacro. E non possiamo ammettere che in campo giudiziario le nazioni laiche possano dare l’esempio alla Chiesa.
Di Carlos Castro
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