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La preghiera può essere vana?

La preghiera è il mezzo migliore che abbiamo per ottenere grazie e favori da Dio. Tuttavia, se non stiamo attenti, l’orgoglio può far perdere tutta la sua efficacia a quest’arma così potente.Parabola do Fariseu e do publicano Museu Lazaro Galdiano Madri FL 1 mjvf

Parabola del fariseo e del pubblicano – Museo Lázaro Galdiano, Madrid Foto: Francisco Lecaros

Redazione (26/10/2025 14:56, Gaudium Press) La preghiera ha un’importanza essenziale nella nostra vita spirituale, perché, come insegna Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, «chi prega si salva e chi non prega si condanna». Tuttavia, in determinate occasioni, le preghiere perdono il loro valore e diventano praticamente inutili. Quali sono queste occasioni e come sapere se la nostra preghiera è veramente accolta da Dio? È ciò che ci insegna la liturgia di questa 30ª domenica del tempo ordinario.

Una forma di orgoglio particolarmente pericolosa

«In quel tempo, Gesù raccontò questa parabola ad alcuni che confidavano nella propria giustizia e disprezzavano gli altri» (Lc 18, 9)

Colpisce il modo in cui San Luca inizia il Vangelo di oggi, ponendo fin dall’inizio un principio molto importante. Nostro Signore racconta una parabola in cui compaiono due uomini: un fariseo e un esattore delle tasse. I farisei avevano origini virtuose e lodevoli, poiché furono quelli che respinsero l’influenza del relativismo greco che imperversava tra gli ebrei intorno al 200 a.C., ma, per mancanza di vigilanza, finirono per cadere nell’ estremo pericolosissimo dell’orgoglio: quello che si unisce al desiderio di radicalità e perfezione.

Infatti, mettendo da parte la virtù dell’umiltà, definita da San Tommaso come preposta a reprimere l’appetito affinché non cerchi grandezze al di là della retta ragione,[1] trasformarono quel movimento di separazione iniziato da un retto ideale in un continuo desiderio di mostrare agli altri le loro qualità autentiche o presunte.

Tale disposizione dell’anima comporta un altro problema: ritenendosi così buoni e virtuosi, i farisei riponevano la loro fiducia nelle proprie capacità e nei propri doni, giudicando superfluo e inutile chiedere l’aiuto di Dio – causa e dispensatore di tali doni – come possiamo vedere ben rappresentato nella parabola di Nostro Signore.

Una preghiera infruttuosa

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo, in piedi, pregava così nel suo cuore: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, disonesti, adulteri, né come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago la decima su tutto il mio reddito” (Lc 18, 10-12).

La preghiera del fariseo è tipicamente orgogliosa, perché invece di contemplare le perfezioni di Dio o un buon esempio ricevuto da altri, egli si pone al centro, lodando se stesso più che Dio e trattando gli altri con disprezzo.

Commentando questo fatto, Sant’Agostino afferma: «È salito al tempio per pregare e non ha voluto supplicare Dio, ma lodare se stesso».[2]

Una preghiera come questa ha qualche frutto? Cosa può fare Dio per un’anima come quella del fariseo, che pensa di avere già tutto per raggiungere il Paradiso, quando in realtà sta comprando la sua condanna? E la cosa peggiore è che spesso – come sembra essere il caso del Vangelo – l’orgoglioso è incapace di correggersi da questo difetto, perché non riesce a riconoscere di avere dei difetti, di essere debole e peccatore, chiudendo le porte della sua anima a Colui che può guarirlo.

In queste situazioni, uno dei modi in cui Dio agisce è permettere un disastro morale, che è una misericordia da parte Sua, perché così l’anima orgogliosa potrà sentire la sua debolezza, la sua malvagità e rendersi conto che l’idea irreprensibile che ha di sé stessa è falsa, aprendosi all’azione della grazia.

La vera preghiera

«Il pubblicano invece se ne stava lontano e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”» (Lc 18, 13)

Nostro Signore, nella sua didattica divina, non solo condanna il male, ma ci lascia anche il modello della preghiera ben fatta e gradita a Dio, come quella del pubblicano: riconoscendo la sua contingenza e chiedendo aiuto al soprannaturale, aveva l’anima aperta all’azione del Creatore, che poteva facilmente guarirlo, come afferma Gesù:

«Vi dico che questi tornò a casa giustificato, ma l’altro no. Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18, 14).

Chiediamo quindi alla Madonna la grazia di riconoscerci deboli, contingenti, e che, se un giorno riporremo la nostra fiducia in noi stessi, cadendo nella cecità causata dall’orgoglio, Lei permetta un fallimento, ma non ci abbandoni alle nostre stesse mani.

Di Artur Morais

 

 

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