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L’ambasciatore israeliano: Vatican News non pubblica la replica al gesuita Neuhaus

Il sacerdote gesuita aveva pubblicato un articolo intitolato “Antisemitismo e Palestina”, al quale l’ambasciatore Schutz aveva risposto.

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Foto: Screenshot YouTube

Redazione (18/05/2024 16:02, Gaudium Press) È evidente che le relazioni tra Vaticano e Israele in questo periodo non solo non sono al meglio, ma forse sono le più tese dalla visita di Paolo VI in Terra Santa, la prima di un Pontefice nella storia, dopo la partenza di San Pietro verso Roma.

Accese nei giorni scorsi dalle dichiarazioni del Premio Nobel per la Pace yemenita Tawakkul Karman al Museo del Cimitero di San Pietro, quando ha affermato che quanto sta accadendo a Gaza è un “atto di genocidio, una pulizia etnica”, le spinte telluriche delle relazioni vaticano-ebraiche hanno raggiunto una maggiore profondità a seguito di un articolo di padre David Neuhaus, SJ, pubblicato da Vatican News.

Il gesuita è professore di Sacra Scrittura in Israele e Palestina ed è stato a lungo membro della Commissione Giustizia e Pace della Chiesa in Terra Santa.

Due delle riflessioni del sacerdote hanno suscitato particolare indignazione tra i leader ebraici, provocando la risposta dell’ambasciatore di Israele in Vaticano, Raphael Shutz.

Come riporta Franca Giansoldati su Il Messagero, secondo lo stesso ambasciatore Schutz, le porte di Vatican News e de L’Osservatore Romano gli erano state aperte per una sua replica, ma poi si erano chiuse: “Prima hanno detto sì, poi ci hanno ripensato”, racconta il diplomatico.

La prima questione controversa affrontata dal gesuita Neuhaus è il rapporto che egli stabilisce tra colonialismo e sionismo:

“Il sionismo politico cercò di cavalcare l’onda del colonialismo europeo e questo si dimostrò efficace quando gli inglesi conquistarono la Palestina nel 1917, dopo aver promesso agli ebrei una patria nazionale, come scritto nella Dichiarazione Balfour, redatta poche settimane prima che la Palestina fosse sottratta al potere dei turchi”, afferma p. Neuhaus.

A questo, l’ambasciatore Schutz risponde che “sionismo e colonialismo non hanno mai avuto nulla a che fare l’uno con l’altro. Il colonialismo è quando un impero occupa un territorio lontano per sfruttarne le risorse. Il sionismo, invece, riguardava una minoranza perseguitata che sentiva il bisogno urgente di un posto al sole dove poter essere libera, indipendente e al sicuro dalle persecuzioni”.

L’altro passaggio dell’articolo di Vatican News che ha suscitato una particolare reazione da parte dell’ambasciatore israeliano è la correlazione tra l’Olocausto ebraico e la Nabka, la Catastrofe, cioè l’esilio dei palestinesi che nel 1947 vivevano nei territori assegnati allo Stato di Israele in seguito a una decisione dell’Onu. La tesi è più o meno che gli ebrei in fuga dall’Olocausto verso la Palestina avrebbero creato le condizioni per l’esilio di coloro che vivevano lì.

“Neuhaus riconosce in breve che sono stati gli arabi a rifiutare il piano di spartizione dell’ONU nel 1947, ma poi omette di dire che sono stati anche gli aggressori che hanno scatenato la guerra nel 1948. Furono la miopia e le politiche bellicose della leadership araba palestinese a causare la Nabka e non tanto l’Olocausto. Di conseguenza, dire che la Nabka è stata causata dalla Shoah è un altro errore, anche se alcuni potrebbero sostenere che essi meritavano tale punizione a causa del loro entusiastico sostegno al nazismo e della loro solidarietà con i nazisti”, afferma l’ambasciatore, riferendosi al sostegno incondizionato a Hitler da parte del Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, che lo incoraggiò a perseguire fino in fondo il programma di sterminio del popolo ebraico.

L’ambasciatore prosegue con delle precisazioni all’articolo di p. Neuhaus, che sicuramente provocheranno delle obiezioni da parte della controparte.

Sebbene le operazioni a Gaza continuino, con un’intensità maggiore se si considera che sono nella fase finale, si direbbe che anche se la guerra dovesse finire domani, il sentimento antisemita, che sta crescendo in molti ambienti, continuerà.

Il Vaticano ha sostenuto con forza la soluzione dei due Stati, ma questa sembra essere molto più lontana oggi rispetto a prima dell’inizio del conflitto a Gaza, dopo il brutale attacco di Hamas. Sia da parte israeliana che da parte palestinese e dei suoi sostenitori, è cresciuta l’idea di annientare l’avversario.

In questa situazione critica, la diplomazia della Chiesa potrebbe svolgere un importante “ruolo di cerniera”, come ha fatto in passato. Ma se il prestigio della Chiesa sembra essere rimasto intatto da parte palestinese, non è così da parte israeliana, viste le dichiarazioni contrastanti e conflittuali degli ultimi mesi.

Il punto è che, come abbiamo visto in passato, qualsiasi cosa di un certo livello che accade in Medio Oriente ha una rapida escalation a livello globale. Ed è molto probabile che la fine delle operazioni a Gaza non sia lo spegnimento di una fiamma pericolosa, ma il punto di partenza di un equilibrio critico che manterrà la tensione a livello globale. (SCM)

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