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Per Dorothy Day e Chesterton nella gratitudine l’inizio della loro fede.

Dorothy Day e G.K. Chesterton scoprirono che la gratitudine non rimane nel cuore, ma ha bisogno di un destinatario, Dio.

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Redazione (18/06/2025 16:28, Gaudium Press) La fede, spesso, non arriva accompagnata da grandi discorsi o ragionamenti teologici. A volte si risveglia in modo silenzioso, come un’eco che nasce dal cuore nel mezzo della vita. A volte la fede nasce semplicemente come ricerca di Qualcuno a cui dire grazie. Così l’hanno vissuta due grandi figure del XX secolo: Dorothy Day e G.K. Chesterton, che trovarono il volto di Dio attraverso la gratitudine.

Dorothy Day: la maternità come sacramento d’amore

Venne al mondo l’8 novembre 1897 nel quartiere di Bath Beach, a Brooklyn. Ma poi la famiglia di Dorothy si trasferì a Chicago, dove visse in condizioni economiche molto precarie. Sua madre, per risparmiare il poco che avevano, la mandava a comprare banane molto mature, perché costavano solo dieci centesimi la dozzina.

Dorothy Day crebbe con un forte senso della giustizia sociale. Giornalista, attivista e fondatrice del Movimento dei Lavoratori Cattolici insieme a Peter Maurin, la sua vita fu influenzata dalla lotta a favore dei poveri e degli emarginati, ma anche da un’intensa ricerca spirituale.

Sebbene la sua infanzia fosse trascorsa in un ambiente protestante non praticante, l’esperienza che trasformò la sua fede avvenne con la nascita di sua figlia Tamar. Quel momento fu una pietra miliare nella sua esistenza: “Se avessi scritto il miglior libro, composto la migliore sinfonia, dipinto il quadro più bello o scolpito la figura più raffinata, non mi sarei sentita così creativa come quando mi hanno messo mia figlia tra le braccia”.

Fu in quel momento di pienezza e di amore traboccante che sentì il bisogno di ringraziare qualcuno: “Fui pervasa da un senso di felicità e gioia così grande che avevo bisogno di qualcuno a cui dire grazie, da amare, persino venerare, per questo bene che mi era stato dato”.

Non riusciva a spiegare razionalmente quell’esperienza, ma la gratitudine divenne il suo primo linguaggio di fede. «Dio era l’oggetto finale di questo amore e di questa gratitudine. Nessuna creatura umana avrebbe potuto ricevere o contenere un amore e una gioia così grandi come quelli che ho provato dopo la nascita di mia figlia. Da questo è nato in me il bisogno di adorare».

Così Dorothy iniziò un cammino di conversione che si consolidò con la preghiera, la vita sacramentale e il servizio al prossimo. Come spiega il suo biografo William D. Miller, «… rivolgersi a Dio per gratitudine verso la vita e la speranza di una vita piena nell’eternità… uno studio continuo, uno sforzo continuo per comprendere meglio e poi tradurre questa comprensione nelle azioni della vita».

G.K. Chesterton: la gratitudine come principio filosofico e spirituale

Da parte sua, anche Gilbert Keith Chesterton, scrittore inglese nato nel 1874 in una famiglia non particolarmente religiosa, ha una storia interessante di immersione nella fede.

Era figlio di Edward Chesterton, il maggiore dei sei figli di Arthur Chesterton, e di Marie Louise Grosjean. Dopo il matrimonio, si erano stabiliti a Sheffield Terrace, Kensington, dove avevano aperto un’agenzia immobiliare e tipografica. Tuttavia, a causa di un problema cardiaco, il padre dovette ritirarsi dagli affari ancora giovane. Ciononostante, disponeva di un reddito sufficiente che gli permetteva di dedicarsi alle sue passioni, il giardinaggio, l’arte e la letteratura.

Chesterton fu un acuto pensatore e difensore del cristianesimo in un’epoca incentrata sullo scetticismo. Fu educato alla fede anglicana più per consuetudine che per convinzione e per molto tempo cercò un senso in un mondo che gli sembrava assurdo e privo di scopo.

Da giovane, una crisi esistenziale

Durante la sua giovinezza affrontò una forte crisi esistenziale; arrivò persino a sfiorare il nichilismo, secondo cui l’esistenza, la vita e i valori sono privi di significato, scopo o valore intrinseco. Ma un giorno, la gratitudine irruppe nella sua anima come una luce: «La prova di ogni felicità è la gratitudine; mi sentivo sempre grato, anche se non sapevo a chi», scrisse nel libro Ortodossia, pubblicato nel 1908.

Quel sentimento lo travolgeva e lo spingeva a cercare il Datore di tutti i beni. «I bambini ringraziano Babbo Natale quando porta loro giocattoli o dolci a Natale. Ma non potrei ringraziare Babbo Natale per avermi dato due gambe come le mie? Ringraziamo per i regali di compleanno, come sigari e pantofole, e non posso forse ringraziare qualcuno per il dono della mia nascita?».

Anche nei momenti più turbolenti, quella gratitudine era il suo punto di riferimento.

Nella sua Autobiografia, scrisse che, durante i giorni disperati della sua giovinezza, si aggrappò a ciò che restava della religione attraverso un sottile filo di gratitudine. Quel filo lo tenne letteralmente in vita: «Anche la semplice esistenza, ridotta ai suoi limiti più elementari, era così straordinaria che mi emozionava. Anche se la luce del giorno era un sogno, una fantasia, ma non un incubo».

Nel suo cuore, la gratitudine divenne un atto di fede, anche prima di trovare le risposte che cercava nella Chiesa cattolica. E sebbene fosse consapevole della bellezza del mondo naturale, sentiva che tutto doveva avere una fonte, «anche il culto della natura che provavano i pagani… dipende in ultima analisi tanto da uno scopo implicito e da un bene positivo nelle cose, quanto dalla gratitudine diretta che provavano i cristiani».

Sia Dorothy Day che G.K. Chesterton avevano scoperto che la gratitudine, quando è sincera e viene dal cuore, diventa una porta verso l’eterno. Entrambi avevano vissuto momenti di stupore di fronte ai doni più essenziali della vita – una nascita, un’alba, un’emozione inspiegabile – che li avevano portati a cercare l’Autore di ogni dono.

Queste parole di Chesterton potrebbero riassumere anche l’esperienza di Dorothy: «Un giorno, l’universo, rimproverato da un pessimista, rispose: “Come puoi tu, che mi insulti, permetterti di parlare attraverso il mio meccanismo? Lascia che ti riduca a nulla e poi ne riparleremo”. Morale: davanti ad un universo mostrato non si guarda il dito che lo indica».

Con informazioni tratte da ReligiónEnLibertad

 

 

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