Perché così tanti cattolici, tra cui Papa Leone XIV, sono entusiasti del latino?
Il latino non è una lingua del passato, è la lingua che nutre la fede e unisce la Chiesa di tutti i tempi. Con essa hanno pregato i santi e ancora oggi risuona nella voce di Papa Leone XIV.
Foto: Renzo Vanden Bussche-unsplash
Redazione (26/07/2025 15:04, Gaudium Press) È chiaro che la lingua non determina né la validità né il valore spirituale della Messa.
Tuttavia, c’è qualcosa di innegabilmente speciale nella sonorità del latino, nella sua cadenza antica, nella sacralità che evoca anche se non lo si comprende appieno. Fin dai primi momenti del suo pontificato, Papa Leone XIV ha ripreso la tradizione di recitare – e persino cantare – le preghiere più conosciute in latino, suscitando domande e curiosità: perché tanto interesse per questa lingua? Perché alcuni la considerano un tesoro spirituale?
In un articolo del National Catholic Register, il professore e scrittore Anthony Esolen offre spunti di riflessione su questo fenomeno. Lungi dall’essere una nostalgia del passato, il latino nella liturgia rappresenta, per molti, una ricchezza. Questi sono alcuni dei motivi che spiegano perché, ancora oggi, emoziona così tanto i fedeli cattolici.
1.È una lingua che unisce i cattolici di tutti i secoli: «Quando ascolti le preghiere in latino, ti unisci a milioni di cattolici dei secoli passati, come un “viaggiatore spirituale” nel tempo. Questo è forse uno dei motivi più emozionanti. Il latino è stato la lingua comune di preghiera per intere generazioni. Il suo uso crea un ponte mistico che ci collega non solo agli altri cattolici del presente, ma anche ai santi, ai martiri, ai papi, ai monaci e ai fedeli anonimi che lo hanno parlato nel corso dei secoli. È un ritorno al passato che risuona nel presente.
2.La lingua d’origine di molti tesori spirituali: Più che una barriera, il latino può essere una porta d’accesso al mistero. Usandolo, molti fedeli trovano un’atmosfera propizia al raccoglimento e alla contemplazione, distaccati dalla quotidianità. “Molte preghiere e canti sono stati originariamente scritti in latino, come la Salve Regina, il Regina Coeli e il Tantum Ergo”. Ascoltarli nella loro forma originale ci avvicina alla loro piena bellezza e, allo stesso tempo, alla cultura liturgica che li ha visti nascere.
3.Un dono, non un’imposizione: C’è il timore che il latino venga imposto come qualcosa di esclusivo o inaccessibile. Ma per molti fedeli il suo uso non è un peso, bensì una grazia. «È un’opportunità per sperimentare le preghiere in un modo nuovo». Inoltre, come sottolinea Esolen, per gli ispanofoni è spesso più facile da cantare rispetto all’inglese, data la vicinanza linguistica. Anziché dividere, il latino può arricchire l’esperienza liturgica, conferendole solennità e bellezza.
4.Traduzioni che non sempre raggiungono la profondità: Ogni lingua racchiude sfumature che possono andare perse nella traduzione. “Passus est” – in latino “lui o lei ha sofferto” – nel Credo non è semplicemente “soffrì”, parla dell’amore intenso e della passione di Gesù: “sopportò”. Questo è solo un esempio.
La liturgia in latino preserva la ricchezza dei concetti teologici e spirituali che a volte vengono diluiti o semplificati nelle traduzioni moderne. Ascoltare certe espressioni nella loro forma originale può risvegliare nell’anima un rinnovato stupore.
5.Rottura con la routine e rinnovare l’esperienza: La ripetizione di certe preghiere può farci perdere il loro significato. Tuttavia, ascoltarle in un’altra lingua, come il latino, può essere un modo per riscoprirle. «Non è necessario capire ogni parola per coglierne il significato o provare riverenza». È come una melodia familiare reinterpretata: il messaggio è lì, ma viene vissuto in modo diverso. Per molti, partecipare alla Messa in latino aiuta a concentrarsi di più e a vedere con occhi nuovi ciò che già conoscono.
6.Recuperare ciò che è perduto è un modo per andare avanti: “La storia dimostra che le grandi rinascite avvengono quando riscopriamo tesori perduti, non quando fingiamo che il passato non sia mai esistito”. Tornare al latino non significa tornare indietro, ma ritrovare le radici della fede. Imparare questa lingua non è solo un esercizio intellettuale, è un’esperienza spirituale, ci apre a un universo pieno di significato, di categorie antiche che hanno plasmato la civiltà cristiana.
Il latino non è morto, è più vivo che mai. Lungi dall’essere una reliquia, il latino continua a parlarci. Non come lingua del passato, ma come lingua della Chiesa nella sua dimensione senza tempo, che trascende culture, mode e confini. Ogni volta che sentiamo un Dominus vobiscum, qualcosa nell’anima riconosce quell’eredità, quella continuità, quella comunione con tutta la Chiesa.
Quindi, la prossima volta che sentite qualcuno dire che il latino è “solo per anziani” o che è “molto difficile”, ricordate che non si tratta di nostalgia o elitarismo. È un modo per entrare, con riverenza e ammirazione, nella grande storia sacra della Chiesa cattolica.
Il latino: la lingua sacra che custodisce il mistero
Il latino non è semplicemente una lingua antica, ma una lingua sacra, consacrata dalle labbra dei santi, dai concili e da secoli di fedeltà. È la lingua con cui la Chiesa ha difeso la sua unità, ha definito i dogmi e ha celebrato la sua liturgia più solenne. Era la lingua della croce — «Iesus Nazarenus, Rex Iudaeorum (Gesù di Nazareth, Re dei Giudei)» — e, in un certo senso, è diventata la lingua del Calvario, dove il cielo toccò la terra.
Il latino, proprio perché è una lingua «morta», cioè immutabile, contribuisce alla purezza dottrinale e aiuta a preservare la stabilità della fede. Il suo uso impedisce che le preghiere, e quindi il credo, siano manipolate o distorte nel corso del tempo.
Come diceva l’antico assioma teologico: Lex orandi, lex credendi – “la legge della preghiera è la legge della fede”. Ciò che la Chiesa prega è anche ciò che crede. Pertanto, mantenere il latino nella liturgia contribuisce alla fedeltà, al cuore stesso della fede cattolica.
Oggi più che mai, quando tante voci vogliono relativizzare, dividere o confondere, il latino si erge come segno di unità, di permanenza e di sacra bellezza. Per questo, lungi da scomparire, continua ad essere presente, anche in Papa Leone XIV. Perché, come ricordava bene Anthony Esolen, il latino non è una cosa del passato, ma un’eredità che ci prepara all’eternità.
Con informazioni da ChurchPOP e CMRI
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