Pubblicati i rapporti intermedi del Sinodo: temi emergenti o controversi?
I rapporti intermedi del Sinodo evidenziano temi controversi nella Chiesa![]()
Redazione (20/11/2025 08:50, Gaudium Press) Il nuovo rapporto intermedio pubblicato dalla Segreteria Generale del Sinodo a Roma, riapre il dibattito che ha caratterizzato il processo sinodale più per le tensioni e le divisioni interne che per la promessa comunione.
Nel documento presentato dal nono gruppo di studio, dedicato al trattamento pastorale dei cattolici LGBTQ+, non passa inosservata la scelta di classificare l’omosessualità come “questione emergente” e non più come tema “controverso”. Questo cambiamento di lessico, apparentemente tecnico, ha un peso dottrinale e simbolico: rivela una progressiva inclinazione a reinterpretare questioni morali che per secoli sono state saldamente ancorate alla tradizione cattolica.
Una lettura critica di questo orientamento mostra che non si tratta solo di adeguare i metodi pastorali, ma di ridefinire il modo stesso in cui la Chiesa affronta i temi che riguardano l’antropologia, la sessualità e la morale cristiana. Nel rapporto si afferma che l’approccio sarà interdisciplinare, con il contributo delle scienze e dell’antropologia, lasciando intravedere che il magistero sarebbe disposto ad aprire la porta a letture che relativizzano le categorie teologiche consolidate. Questa tendenza era già stata rilevata dagli analisti: il discorso sinodale, in molti momenti, sembra partire dal presupposto che le parole della tradizione siano insufficienti e che sia necessario “integrarle” con parametri esterni. Il documento non nasconde questa posizione riconoscendo l’“insufficienza dei concetti a nostra disposizione” e la “resistenza al cambiamento delle abitudini mentali e pratiche”. In pratica, questa affermazione mette in discussione la tradizione, come se essa stessa fosse un ostacolo al discernimento.
La critica tra dottrina e pastorale è un altro segno di cambiamento. Il rapporto sostiene che separare le due sfere genera malintesi e porta a concepire l’amore e la verità come poli opposti. Ma, paradossalmente, è proprio il relativismo pastorale – spesso giustificato con l’ argomentazione della «misericordia» – che ha alimentato letture che mettono in secondo piano la verità morale. Anziché approfondire la comprensione della dottrina alla luce della migliore tradizione, il documento sembra suggerire che la dottrina debba adattarsi alle nuove sensibilità culturali, il che contraddice secoli di Magistero.
Questo scenario assume contorni ancora più complessi se si considera che il Sinodo non discute solo questioni LGBTQ+. Anche il Gruppo di Studio 5, che affronta questioni teologiche e canoniche relative a forme ministeriali specifiche, ha presentato la sua relazione provvisoria, non meno controversa. Questo gruppo tratta, tra gli altri temi, la partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa, in particolare per quanto riguarda l’accesso al diaconato femminile. La gestione di questo gruppo è stata oggetto di polemiche fin dall’inizio. Durante l’assemblea finale del Sinodo dei Vescovi, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Víctor Fernández, unico coordinatore a non aver consegnato la sua relazione entro i termini previsti, ha inviato due collaboratori al suo posto. L’episodio aveva già destato preoccupazioni sulla conduzione del lavoro; ora, con la nuova relazione, è chiaro che la controversia è tutt’altro che placata.
Il documento del Gruppo 5 afferma di aver raccolto e valutato un “ampio materiale” sul tema delle donne, proveniente da contributi spontanei e da istanze inviate dallo stesso Gruppo. Afferma inoltre che la relazione finale ha già una struttura ben definita e che “la questione dell’accesso delle donne al diaconato merita una particolare menzione”. Ribadiscono che Papa Francesco ha provveduto a riattivare la seconda Commissione di studio sul diaconato femminile durante l’ultima sessione sinodale e che tutti i contributi sul tema sono stati inoltrati a tale commissione. Ma il dettaglio decisivo è che questa commissione è completamente fuori della dinamica sinodale e, per quanto si sappia, non ha alcuna scadenza per presentare le conclusioni. In altre parole, mentre il Sinodo dà segni di apertura rapida, la commissione incaricata di studiare il punto centrale di tale apertura è in sospeso. Il risultato è un processo ambiguo: si promuove la discussione senza che vi sia chiarezza dottrinale o una metodologia definita per la decisione.
Il parallelismo tra i due rapporti – sui temi LGBTQ+ e sul diaconato femminile – mostra una tendenza crescente all’interno del Sinodo: quella di trattare realtà profondamente impegnative per la tradizione cattolica con categorie fluide e modelli di discernimento che non hanno ancora dimostrato coerenza teologica. La sinodalità, che dovrebbe esprimere il cammino comune della Chiesa, sembra sempre più incline a diventare un laboratorio di sperimentazioni pastorali, spesso guidato da pressioni culturali piuttosto che dallo sviluppo organico della dottrina.
Non sorprende quindi che molti osservatori vedano in questi rapporti un cambiamento di paradigma che minaccia di compromettere la coerenza della tradizione cattolica. Classificando l’omosessualità come una questione emergente e insistendo su un approccio interdisciplinare, si corre il rischio di diluire la chiarezza morale che ha sempre guidato la Chiesa. Allo stesso tempo, l’impulso a riconfigurare il ruolo delle donne nel ministero ordinato, senza una base teologica consolidata e senza scadenze definite per una commissione di primaria importanza, solleva il sospetto che il processo sinodale sia stato guidato più da aspettative sociologiche che dal sensus fidei.
La critica qui non è al dialogo o all’ascolto – sempre presenti nella vita della Chiesa – ma al modo in cui alcuni rapporti sembrano sottintendere che la tradizione debba essere resa più flessibile per accogliere nuove esigenze. Quando il rapporto ammette l’insufficienza dei concetti, non solo identifica una sfida, ma insinua che gli attuali fondamenti teologici non sarebbero più adeguati per interpretare la realtà contemporanea. Questo apre la strada a riforme che potrebbero snaturare la dottrina invece di renderla più profonda.
Alla fine, il rapporto intermedio sembra puntare meno a una Chiesa che cammina unita e più a una Chiesa che cerca di bilanciare correnti divergenti senza risolvere le sue tensioni interne. L’apertura all’omosessualità e al diaconato femminile, condotta in modo frammentario e spesso poco trasparente, potrebbe finire per ampliare la polarizzazione. Il rischio reale è che la sinodalità, invece di rafforzare l’identità cattolica, la indebolisca nel tentativo di armonizzare elementi incompatibili tra loro.
Il Sinodo, proposto come forum di ascolto e discernimento, deve essere oggetto di una valutazione critica. Le relazioni che relativizzano i principi fondamentali possono allontanare la Chiesa dalla sua tradizione e comprometterne la funzione orientativa. Divergenze dottrinali ben più ridotte hanno già causato il grande Scisma d’Occidente, che perdura ancora oggi. Si spera che il processo sinodale serva a unire, e non a dividere, i cattolici.
Di Rafael Tavares





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