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San Massimiliano Maria Kolbe, il martire di Auschwitz

Il frate francescano che rese meno disumano il campo di concentramento di Auschwitz

1. art fonte foto famiglia cristiana

Rita Sberna (01.08.2020 10:00, Gaudium Press) San Massimiliano Maria Kolbe, è il frate francescano conventuale che nel campo di concentramento di Auscwitz, offrì la propria vita per salvare quella di un padre di famiglia, Francesco Gaiowniczek, che era stato condannato a morire di fame.

Il 10 ottobre 1982, Giovanni Paolo II lo ha proclamato “patrono del nostro difficile secolo”, un esempio di pace e di fraternità in una società piena di egoismo e di odio.

La vita di San Massimiliano Maria Kolbe

E’ nato a SudunzskaWola, l’8 gennaio 1894. I genitori erano operai tessili, lui sin da bambino conobbe il lavoro e la povertà.

Quell’esperienza di povertà incise molto sulla sua scelta, quella di abbracciare la Regola di San Francesco d’Assisi, tra i minori conventuali di Leopoli (1907) e dare vita ad un’istituzione che aveva alla base la povertà e il lavoro, caratteristiche tipiche del cammino francescano cioè le “Città dell’Immacolata”: «Niepokalanów», in Polonia, e «Mugenzai No Sono», in Giappone.

Ritornò in Polonia nel 1919, dopo aver conseguito la laurea in teologia a Roma. Fu nel 1927 che diede vita a «Niepokalanów» ovvero “Città dell’Immacolata”, i cittadini che erano tutti frati, si dedicavano all’apostolato per mezzo della stampa vivendo in povertà.

Fecero il boom con la rivista il “Cavaliere dell’Immacolata” fondata nel 1922 e decollò raggiungendo le cinquantamila copie. In seguito ebbe un’enorme successo affermandosi con un milione di copie nel 1938.

Lui era molto devoto dell’Immacolata, la riteneva capace di scuotere le coscienze ecco perché ha intitolato gran parte delle sue riviste all’Immacolata. Ancor prima di essere ordinato sacerdote, a Roma aveva istituito la Milizia dell’Immacolata, uno strumento per far conoscere la devozione alla Madre di Dio ancora efficace oggi.

Il 19 settembre 1939, venne arrestato dalla Gestapo, che lo deportò prima a Lamsdorf (Germania) e poi nel campo di concentramento di Amlitz.

Fu rilasciato l’8 dicembre 1939 e tornò a Niepokalanów. Nel 1941 venne nuovamente arrestato e condotto nel carcere di Pawiak a Varsavia, ed infine deportato nel campo di concentramento di Auschwitz dove dedicò la sua vita al servizio degli altri.

Nel campo di concentramento esisteva la legge che se uno fuggiva, altri dieci venivano condannati a morire di fame in un oscuro sotterraneo. La sera quando chiamarono l’appello si accorsero che mancava un prigioniero e così scelsero chi doveva morire: un padre di famiglia, il sergente Francesco Gajowniczek.

Fu lì che iniziò il martirio eroico di Massimiliano Maria Kolbe

Quando andò verso il Comandante del capo dicendogli: «Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano, voglio prendere il suo posto, perchè egli ha moglie e figli».

Il comandante meravigliato accettò quella proposta. Padre Kolbe insieme ad altre vittime fu portato nel blocco 11, venne denudato e condotto in una piccola cella dove doveva morire di fame e di sete.

Resistette vivo per due settimane insieme ad altri quattro detenuti e in quella cella insieme a loro, cantava e pregava. Alla fine fu ucciso con un’iniezione di acido fenico. «Porse lui stesso, con la preghiera sulle labbra, il braccio al carnefice», raccontò un testimone.

E’ morto in estati, con gli occhi aperti e un volto raggiante. Non a caso era la vigilia dell’Assunta.

 

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