San Pio da Pietrelcina: Croce, persecuzione e gloria
Le sofferenze causate dalle stimmate, gli sforzi quasi sovrumani profusi nella sua fecondissima opera pastorale, le calunnie e le persecuzioni hanno fatto di Padre Pio uno dei santi più venerati del nostro tempo.
Redazione (23/09/2024 15:31, Gaudium Press) Al centro della regione Campania, a pochi chilometri dal comune di Benevento, si trova il piccolo centro agricolo di Pietrelcina. Lì, in una semplice casa composta da poche stanze, viveva la famiglia di Grazio Forgione e Maria Giuseppa Di Nunzio, la quale il 25 maggio 1887 diede alla luce un bambino chiamato Francesco.
Una vocazione religiosa fin dalla più tenera età
Il bambino amava pregare e spesso faceva il chierichetto in parrocchia. In tenera età disse ai genitori che voleva diventare frate cappuccino e loro non si opposero.
All’età di cinque anni, il ragazzo cominciò ad essere interessato da fenomeni mistici, come estasi e apparizioni, ma li tenne nascosti fino all’età adulta, anche perché li considerava qualcosa di ordinario che poteva capitare a chiunque.
Nel gennaio del 1903, prima ancora di compiere sedici anni, entrò come novizio nel convento di Morcone, prendendo il nome di fra’ Pio da Pietrelcina.
“Il diavolo mi vuole per sé”
La professione solenne avvenne il 27 gennaio 1907. Ma una misteriosa malattia lo costrinse a tornare a Pietrelcina già nel mese di maggio, poiché i medici ritenevano che l’aria della sua terra natale lo avrebbe guarito.
La malattia, durante la quale soffrì terribili tormenti spirituali, si protrasse per quasi sette anni. Il diavolo voleva strapparlo dalle mani di Gesù, mentre lui ardeva dal desiderio di diventare sacerdote.
Il 10 agosto 1910 fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Benevento. A causa delle sue condizioni di salute, tuttavia, continuò a vivere per la maggior parte del tempo con la sua famiglia e ad aiutare il parroco nel lavoro pastorale nel piccolo paese. In questo periodo subì tremendi attacchi diabolici, a proposito dei quali commentò: “Il diavolo mi vuole per sé a tutti i costi”.
Confessore dai carismi straordinari
Nel 1916 tornò finalmente alla vita comunitaria, questa volta nel convento di San Giovanni Rotondo. Non passò molto tempo prima che innumerevoli anime bisognose di una guida spirituale iniziassero a cercare il nuovo frate, il cui consiglio principale era chiaro e semplice: Comunione e Confessione frequenti.
Le visioni celestiali della sua infanzia tornarono e divennero abituali. Egli stesso raccontava ai suoi direttori spirituali in tutta semplicità: “Nostro Signore mi è apparso…” o “Gesù è venuto e mi ha detto…”.
Dotato del dono del discernimento degli spiriti, poteva vedere ciò che accadeva all’interno delle anime e delle coscienze. Per questo motivo, le file al suo confessionale diventavano così lunghe che doveva distribuire numeri per ordinarle.
Possedeva anche una conoscenza infusa delle lingue straniere e il dono della bilocazione, oltre a molti altri carismi straordinari.
La sua routine quotidiana consisteva nella preghiera, nella lettura e, soprattutto, nelle confessioni. Quando i penitenti ricevevano il Sacramento della Riconciliazione attraverso di lui, riacquistavano la pace, e le sue Messe erano così suggestive che alcuni dicevano: “Chi lo ha visto celebrare una volta non lo dimenticherà mai”.
L’inizio di un doloroso calvario
Nel 1918, come Santa Teresa di Gesù, ricevette la grazia della trasverberazione. Il 5 agosto, riporta Padre Pio in una lettera, vide davanti a sé, “con gli occhi dell’intelligenza”, un personaggio celeste che “aveva in mano una specie di attrezzo simile a una lunghissima lama di ferro con una punta affilatissima, da cui sembrava uscire del fuoco”. Quando questo personaggio affondò la lama nella sua anima, si sentì morire e in seguito dichiarò di “essere stato fisicamente ferito al fianco”.
Qualche anno prima, nel 1911, “qualcosa di rosso come la forma di una moneta apparve nei palmi delle sue mani, accompagnato da un forte dolore al centro di quel cerchio rossastro”.
Un fenomeno simile si verificò anche sulle piante dei piedi. Quando i segni scomparvero, la sofferenza continuò: “Mi sembra che il mio cuore, le mie mani e i miei piedi siano trafitti da una spada, tanto è il dolore che provo”.
Dopo la celebrazione della Santa Messa del 20 settembre 1918, mentre si trovava nel coro, la figura misteriosa gli apparve di nuovo, ora con le mani, i piedi e il fianco sanguinanti.
Quando se ne andò, Padre Pio si rese conto che “le sue mani, i suoi piedi e il suo fianco erano trafitti e sgorgavano sangue”. Da quel momento le stimmate del cappuccino cominciarono a sanguinare regolarmente, senza guarire o causare infezioni.
Pur chiedendo alla Divina Provvidenza di togliere tali segni, che gli causavano tante afflizioni e incomprensioni, non chiese mai che venisse tolto il dolore. Era volontà di Nostro Signore che il suo servo fedele lo imitasse in una prova che durò cinquant’anni, con “indescrivibile e insopportabile confusione e umiliazione”.
Le folle lo assediano in convento
Da tutto il mondo giungevano richieste di preghiera e “spesso ringraziamenti per le grazie ricevute”.
Il convento di San Giovanni Rotondo era assediato da folle che volevano confessarsi dal cappuccino con le stimmate o vederlo celebrare la Santa Messa.
Padre Pio trascorreva persino sedici ore nel confessionale in un solo giorno. In una lettera al suo direttore spirituale, confidava: “Non ho un minuto di tempo libero: tutto il mio tempo è impiegato per liberare i miei fratelli dalla morsa di Satana. Sia benedetto Dio”.
Ma non era solo la sofferenza spirituale a preoccupare San Pio. Ne è prova il fatto che, vedendo anni dopo la necessità di un buon ospedale in città, si adoperò per costruire la Casa Sollievo della Sofferenza, che, secondo Pio XII, divenne “uno dei più attrezzati ospedali d’Italia”.
Invidia e incomprensione scatenano la persecuzione
Mentre la celebrità del santo cresceva fino a raggiungere i giornali più famosi dell’epoca, contro di lui e i frati che lo circondavano sorsero invidie, incomprensioni e calunnie.
Benedetto XV, il Pontefice allora in carica, lo considerava un “uomo veramente straordinario, uno di quelli che Dio manda di tanto in tanto sulla terra per la conversione degli uomini”.
Ciò non impedì tuttavia ai membri del clero secolare di inviare rapporti al Papa chiedendo che venissero prese misure contro questo “strano” religioso.
Nel 1919, l’arcivescovo Pasquale Gagliardi di Manfredonia, nella cui giurisdizione si trovava il convento di San Giovanni Rotondo, iniziò a raccogliere documenti e testimonianze contro il santo cappuccino. Inviò un esposto al Sant’Uffizio, pregando il Sommo Pontefice di “far cessare l’idolatria che si sta commettendo nel convento per opera di Padre Pio e dei frati che sono con lui”.
Secondo le accuse di alcuni fedeli, invece, Gagliardi praticava la simonia e aveva costumi depravati, fatti che vennero poi confermati durante una visita apostolica. Durante il suo governo, l’arcidiocesi di Manfredonia era in rovina.
Comunque le denunce del prelato e di alcuni sacerdoti scatenarono una vera e propria persecuzione contro Padre Pio. A loro si unì P. Agostino Gemelli, medico e religioso francescano che, pur non avendo mai esaminato le stimmate, affermò che esse provenivano da “uno stato morboso, da una condizione psicopatica o erano l’effetto di una simulazione”. Uno dei biografi di san Pio arrivò a definire p. Gemelli un “filosofo della persecuzione”.
Un decennio di interventi del Sant’Uffizio
Mossi dall’odio dei suoi detrattori, i sospetti contro Padre Pio continuarono a crescere. Nel giugno del 1922, a meno di sei mesi dalla morte di Benedetto XV, il Sant’Uffizio emanò disposizioni volte a isolarlo dai suoi devoti.
Gli fu proibito di mostrare le sue ferite, di parlarne o di lasciarle toccare. Gli fu cambiato il direttore spirituale, con il quale fu sospesa ogni comunicazione epistolare. Gli fu proibito di rispondere a qualsiasi lettera o di dare consigli a chiunque, e ai suoi superiori fu ordinato di allontanarlo da San Giovanni Rotondo, “quando il clima popolare lo consentirà”, cosa che alla fine non avvenne.
Negli anni successivi, Mons. Gagliardi e i sacerdoti scontenti continuarono a tempestare di accuse il Sant’Uffizio. Il trasferimento del religioso in un altro convento era ancora impraticabile per paura di rivolte.
Nel 1931, il Sant’Uffizio gli proibì di celebrare in pubblico e gli ritirò il permesso di confessare. Non si trattò di una condanna ufficiale, ma di “restrizioni imposte per prudenza”.
Le incessanti accuse e calunnie di Mons. Gagliardi e dei suoi collaboratori avevano raggiunto il loro scopo, almeno in parte.
La reazione del santo frate, quando veniva a conoscenza di ogni divieto, era quella di alzare gli occhi al Cielo e abbandonarsi alla volontà di Dio. Accettò tutto con umiltà e rassegnazione, pur sapendo che le pene erano ingiuste.
Quasi trent’anni di apostolato fecondo
Il 14 luglio 1933, il Sant’Uffizio allentò le proibizioni. Una lettera del suo segretario, il cardinale Donato Sbarretti, lo autorizzò a celebrare la Santa Messa nella chiesa del convento e a confessare i religiosi fuori dal tempio.
Il giorno della festa della Madonna del Carmine, la folla di devoti che riempiva la chiesa per rivederlo lo trovò irriconoscibile: invecchiato, con i capelli ingrigiti, le spalle pesanti e il passo incerto. “Era un uomo sofferente, tornato per stare con i suoi fedeli”.
A poco a poco, gli venne restituita la possibilità di confessare e, anche se le riserve del Sant’Uffizio non vennero sciolte – né confermate da un processo e da una sentenza -, “per Padre Pio iniziò un’epoca felice, che sarebbe durata fino al 1960.
Felice nel senso di un apostolato libero e fecondo. Furono quasi trent’anni durante i quali centinaia di migliaia di pellegrini accorsero a San Giovanni Rotondo e durante i quali si moltiplicarono le conversioni, le guarigioni e le grazie ricevute”.
Il 3 ottobre 1960, un infelice comunicato stampa vaticano riferiva del ritorno a Roma di monsignor Carlo Maccari, che era stato a San Giovanni Rotondo come visitatore apostolico.
L’infelice formulazione del comunicato scatenò una valanga di pubblicità: in un mese circolarono in tutta Italia più di ottocento notizie contro San Pio!
Questa volta le calunnie non riguardarono solo lui, ma anche le finanze e l’amministrazione della Casa Sollievo della Sofferenza. Un articolo arrivò addirittura a definirlo “il cappuccino più ricco del mondo”.
Il trionfo di Padre Pio
Sulle persecuzioni subite da Padre Pio sono stati scritti numerosi libri che confutano le accuse mosse contro di lui, svelano la malafede dei suoi detrattori e riportano i fatti in modo dettagliato. Non intendiamo quindi utilizzare lo spazio limitato di questo articolo per esaurire l’argomento, ma piuttosto per sottolineare quanta luce si ottiene attraverso la croce!
Le sofferenze fisiche causate dalle stimmate, gli sforzi quasi sovrumani del suo fecondissimo lavoro pastorale, le calunnie e le persecuzioni che hanno crocifisso la sua anima sono state ribaltate in gloria su questa terra.
Già nel 1962, decine di vescovi e arcivescovi che partecipavano al Concilio Vaticano II gli fecero visita. Tra loro c’era Mons. Karol Wojtyla, all’epoca vescovo ausiliare di Cracovia.
Due anni dopo, il Pro-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Alfredo Ottaviani, lo informò che Papa Paolo VI voleva che “Padre Pio tornasse al suo ministero in piena libertà”.
La folla tornò ad affollare San Giovanni Rotondo, desiderosa di vederlo e di toccare le ferite delle sue mani o almeno il suo abito.
Il 20 settembre 1968, cinquantesimo anniversario delle sue stimmate, Padre Pio capì che la sua fine era vicina. Il 22, al termine della Messa mattutina, il popolo lo acclamava.
Verso le dieci e mezza, già pallido e tremante, ebbe appena la forza di alzare le mani fredde e benedire una grande folla dalla finestra della vecchia chiesa. È difficile descrivere la gioia e gli applausi, lo sventolio di mani e fazzoletti in risposta al suo saluto.
Nel pomeriggio, però, dopo l’ultima benedizione ai fedeli che avevano partecipato alla Messa, si ritirò nelle sue stanze. Il sacerdote guardiano racconta che in quel momento “la finestra della cella di Padre Pio si chiuse per sempre, imprigionando dietro di sé il ricordo di un uomo che tutti coloro che gli si avvicinavano impararono a chiamare Padre!”.
Alle due del mattino del 23, dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi, con il rosario in mano e i nomi di Gesù e Maria sulle labbra, la sua anima volò in cielo. Aveva ottantuno anni.
La vita di una dei santi oggi più venerati in Italia e nel mondo è entrata nell’eternità.
Testo tratto dalla rivista Araldi del Vangelo n. 213, settembre 2019.
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