Cosa sappiamo del futuro dell’Opus Dei?
C’è una riforma richiesta, un forte dibattito sul rapporto tra clero e laici e sulla supervisione romana, e una serie di indagini e controversie giudiziarie che offuscano gli orizzonti
Foto: Opus Dei
Redazione (23/10/2025 15:46, Gaudium Press) Recentemente sono apparsi articoli che suggeriscono che l’Opus Dei sarebbe sul punto di essere smantellato o, in termini più drammatici, sul punto di cessare di esistere. Tali ipotesi si basano su voci provenienti da Roma, su fughe di notizie selettive e su un clima di suspense legato alla revisione degli statuti della prelatura, richiesta dal documento Ad charisma tuendum del 2022. Ma cosa sappiamo realmente? E cosa è ragionevole aspettarsi dal processo in corso, ora sotto un nuovo pontificato? Per rispondere a queste domande, è necessario distinguere tra illazione e speculazione.
La storia inizia con il motu proprio Ad charisma tuendum, promulgato nel luglio 2022, che ha ridisegnato il quadro canonico dell’Opus Dei, trasferendo la prelatura dal Dicastero per i Vescovi al Dicastero per il Clero ed eliminando la pratica dell’ordinazione episcopale del prelato. Presentata ufficialmente come una misura volta a rafforzare il carisma originario dell’istituzione, la riforma aveva un obiettivo pratico: adeguare la normativa dell’Opus Dei all’ecclesiologia e all’ordinamento giuridico post-riforma della Curia, stabilito dalla Costituzione Apostolica Predicate Evangelium di Papa Bergoglio.
Questa interpretazione “tecnica”, tuttavia, ha coesistito fin dall’inizio con interpretazioni più ampie, che vedevano nel testo un tentativo di contenere un’autonomia che per decenni era stata considerata eccessiva dai critici.
Nel 2025, quando la prelatura si preparava a votare la proposta di nuovi statuti in un’assemblea generale già convocata, la morte di Francesco ha portato alla sospensione del punto centrale dell’ordine del giorno e al rinvio formale dell’adozione del nuovo testo, come riportato dalla Catholic News Agency, precisando che la revisione statutaria sarebbe stata rinviata e che la riunione si sarebbe limitata ad atti amministrativi interni. La CNA ricordava inoltre i punti principali del motu proprio: la subordinazione al Dicastero per il Clero e la soppressione della tradizione di elevare il prelato dell’Opus Dei al vescovato.
In questo contesto, sono apparse notizie che alludono a una “riforma radicale” o a una possibile “fine” dell’opera così come la conosciamo oggi.
Resoconti dei media
A metà ottobre 2025, il Catholic Herald ha pubblicato un articolo che descriveva, sulla base di fonti anonime, un progetto di triplice scissione: una struttura esclusivamente clericale per i sacerdoti incardinati, una Società Sacerdotale della Santa Croce rinnovata per il clero diocesano e, a parte, un’associazione pubblica di fedeli per i laici. Tale ristrutturazione, se confermata, comporterebbe la rottura dell’«unità di spirito e di governo» che caratterizza l’Opus Dei sin dalla sua fondazione, limitando la giurisdizione diretta del prelato sul clero. L’articolo riportava anche la reazione ufficiale dell’Opus Dei, che definiva il testo originale come un’“opinione basata su fonti anonime” e affermava che non c’erano novità oltre all’invio di una proposta di riforma alla Santa Sede nel mese di giugno. In sintesi, per ora, ci sono solo voci, reale preoccupazione e risposte contenute, senza alcun decreto pubblico che confermi tale triplice scissione.
Allo stesso tempo, va notato che alcuni media internazionali hanno sottolineato il deterioramento della reputazione dell’Opus Dei con vecchie e recenti accuse. Il quotidiano The Guardian ha pubblicato, nell’aprile 2025, un articolo sul caso di 43 donne in Argentina che affermano di essere state sottoposte a sfruttamento e servitù in opere apostoliche legate alla prelatura; un dossier che è arrivato ai procuratori federali e che ha esercitato pressioni per l’ individuazione delle responsabilità penali.
Sebbene l’Opus Dei neghi con veemenza le accuse, la narrazione giudiziaria e la sua ripercussione sui media aggiungono tensione a qualsiasi discussione sulla governance e sui meccanismi di controllo dell’istituzione. Anche se le questioni locali non determinano di per sé la struttura canonica globale, esse pesano sul dibattito e alimentano i pretesti di coloro che propugnano riforme più rigorose.
Un altro aspetto rilevante del dibattito deriva da analisi investigative e di opinione. Gareth Gore, giornalista che ha seguito la questione negli ultimi anni, ha pubblicato una serie di articoli, interviste e post pubblici dal tono altamente critico sulla storia e la cultura istituzionale dell’Opus Dei. Il suo lavoro, che circola su piattaforme come Substrack e sul National Catholic Reporter (NCR), sostiene che la riforma richiesta nel 2022 si è bloccata, che i progetti di nuovi statuti sono stati respinti e che, fino a questo momento, non c’è stata alcuna attuazione effettiva. Lo stesso articolo ricorda che il nuovo Papa ha ricevuto il prelato dell’Opus Dei in una delle sue prime udienze, gesto interpretato da alcuni come una richiesta di spiegazioni e da altri come un segno di vicinanza. Questi dati, documentati e più verificabili, offrono una maggiore solidità, ma non sono sufficienti a corroborare una “fine” imminente dell’Opus Dei.
È giusto anche registrare che sia la Prelatura che gli scrittori e i media cattolici hanno risposto alle critiche di Gore, sottolineando imprecisioni o pregiudizi nel materiale – comprese verifiche dei fatti e note di chiarimento pubblicate dai canali ufficiali dell’Opus Dei e replicate da mezzi di comunicazione affini. Ciò dimostra che, all’interno della narrazione pubblica, c’è una controversia accesa sulle interpretazioni e sulla credibilità, come è tipico nei processi ecclesiastici delicati.
Tuttavia, il dato fattuale che riguarda la nostra domanda – lo stato della riforma – non dipende dall’accordo con la diagnosi dell’una o dell’altra parte. Esso è condizionato dall’approvazione, da parte della Santa Sede, di un eventuale testo statutario e del suo contenuto. Finché ciò non avverrà, ci troveremo nel campo del probabile e del verosimile, non di quello definitivo.
Elementi consolidati
Cosa sembra quindi confermato? In primo luogo, che l’Opus Dei è effettivamente sottoposta a una revisione statutaria richiesta dalla Santa Sede e che in tale revisione vi sono due punti critici: il trasferimento della prelatura alla giurisdizione del Dicastero per il Clero e la soppressione della pratica dell’ordinazione episcopale del prelato. In secondo luogo, che l’adozione del nuovo testo ha subito ritardi ed è stata formalmente rinviata dopo la morte di Francesco, con l’assemblea del 2025 che si concentrerà sul rinnovo delle cariche e rinvierà l’esame degli statuti. In terzo luogo, ci sono voci insistenti – ma solo voci – di una riconfigurazione dei rapporti tra clero e laici nella prelatura, potenzialmente con riconoscimenti giuridici distinti. In quarto luogo, il contenzioso giudiziario e mediatico in alcuni paesi condiziona il clima e le aspettative intorno alla riforma. Questi quattro punti possono anche delineare uno scenario di incertezza, ma non indicano un collasso istituzionale.
Per questo motivo, i titoli che prevedono la “fine” dell’Opus Dei suonano come un colpo a salve.
Il Catholic Herald ha riportato l’ipotesi di una divisione tripartita, ma lo stesso articolo ha riportato la smentita dell’Opus Dei sulla presenza di una qualche novità approvata e, cosa più importante, nessun decreto pubblicato che descriva una scissione.
L’NCR, dal canto suo, chiarisce che il vero problema non è “esistenziale”, ma politico-ecclesiale: quale sarà la portata della riforma? Quale sarà il grado di autonomia del prelato? Quale unità – di governo e di spirito – sarà possibile quando si differenzierà giuridicamente il percorso dei laici da quello dei chierici? E ancora, in che misura la Santa Sede intende tutelare, correggere o «portare all’interno» pratiche e una cultura organizzativa maturate nel corso di quasi un secolo? Queste domande sono, in effetti, interrogativi interessanti e vale la pena osservare quale sarà l’esito dell’impasse.
È anche importante sottolineare ciò che non è cambiato: l’ispirazione fondante di San Josemaría – la santificazione del lavoro e della vita ordinaria. Ciò che si discute è la forma giuridica più adeguata per garantire che questa ispirazione viva in effettiva comunione con la Chiesa locale e con la Santa Sede, secondo meccanismi di responsabilità proporzionati alla dimensione e alla capillarità della prelatura. Una riforma che, ad esempio, delimiti con precisione la sfera di autorità del prelato su chierici e laici, e che possa essere letta meno come una “punizione” e più come un chiarimento, purché accompagnata da garanzie per l’unità pastorale. Lo stesso Ad charisma tuendum parlava di “proteggere il carisma”, un linguaggio che punta alla continuità in chiave di purificazione, non di decostruzione. Che questa retorica si traduca o meno in dispositivi equilibrati dipenderà dal testo finale degli statuti – che, ripetiamo, non è stato reso pubblico.
Fattori di influenza
Nel breve termine, l’unica cosa sensata è osservare due fattori di grande influenza. Il primo è il contenzioso sociale e giuridico, specialmente nei paesi in cui le denunce stanno guadagnando terreno. Il caso argentino delle 43 donne ha prodotto titoli forti e una notevole pressione politica; il secondo fattore è la politica curiale: dopo la riorganizzazione del 2022, ogni gesto della Santa Sede nei confronti dell’Opus Dei è considerato un segnale. E, in questo senso, la scelta del nuovo Pontefice di ricevere il prelato all’inizio del pontificato è stata un gesto denso di significato, ma ambiguo per definizione: potrebbe essere sia un cenno di fiducia che un invito alla responsabilità con scadenze precise. È questo movimento “tra le righe” che alimenta analisi divergenti nelle colonne e nei corridoi.
Se oggi qualcuno chiedesse, in modo diretto, se l’Opus Dei sarà “diviso in tre” o “cesserà di esistere”, la risposta onesta sarebbe: non esiste un atto normativo che lo determini, né una comunicazione ufficiale della Santa Sede in tal senso. C’è invece una riforma richiesta, un forte dibattito sul rapporto tra clero e laici e sulla supervisione romana, e una serie di indagini e controversie giudiziarie che offuscano gli orizzonti.
Per usare una metafora, quando si eliminano le esagerazioni e si guardano le pedine già sul tavolo, ciò che si vede è una scacchiera in movimento, non uno scacco matto. L’articolo del Catholic Herald, basato su una fuga di notizie, mostra dove alcuni vorrebbero spingere l’interpretazione. Le analisi di Gareth Gore, sulla stampa e sui social media, esplicitano la lettura più scettica riguardo alla capacità di autoriforma dell’Opus Dei. Ogni pezzo indica una direzione, ma nessuno di essi, da solo, decide la fine della partita.
Il futuro dell’Opus Dei
E il futuro? La novità dell’attuale pontificato è la centralità del “test Opus Dei” già nei primi mesi. Il National Catholic Reporter ha osservato che, nell’udienza del nuovo Papa con il prelato, secondo letture interne, l’ordine del giorno riguardava lo stato di avanzamento degli statuti. Se è vero che Francesco desiderava vedere completata la riforma, è anche vero che la sorpresa della sua morte ha interrotto una coreografia giuridica in corso. Ora, con Leone XIV, canonista di formazione, l’ordine del giorno torna sul tavolo, con nuove variabili e senza le stesse scadenze. È plausibile che, prima di qualsiasi firma, il Papa chieda ulteriori studi e consultazioni, non solo per prudenza, ma anche per calibrare il segnale che intende inviare alla Chiesa e, forse, anche ad altri istituti di vita consacrata. Ciò acquista ancora più importanza se ricordiamo che la questione dell’equilibrio tra carismi e strutture è uno dei fili conduttori delle recenti riforme a Roma.
In sintesi, ciò che sappiamo sul futuro dell’Opus Dei è meno di quanto promettono alcuni titoli e più di quanto suggerisca la narrativa del «non cambierà nulla». Sappiamo, ribadiamo, che la riforma è reale, che il testo è in fase di elaborazione, che ci sono stati alcuni ritardi e che il contesto esterno è diventato più difficile nel 2025. Sappiamo anche che ci sono correnti all’interno e all’esterno della Chiesa che vorrebbero una delimitazione giuridica più netta tra clero e laici, mentre altre temono che ciò possa snaturare l’unità carismatica originaria. Quello che non sappiamo – e nessuno al di fuori della Santa Sede può sapere – è il disegno finale che uscirà dalla penna del Papa. Il destino dell’Opus Dei, ora, passa attraverso un discernimento che non si misura nei titoli dei giornali, ma nella sobrietà di un testo che resista al passare dei decenni.
Circospetto, Papa Leone prende molto sul serio la questione. Tutto indica che, per ora, l’unico punto davvero certo è che ha bisogno di tempo per decidere se seguire la strada desiderata dal suo predecessore o proporre un nuovo itinerario per la riforma e per il bene dell’opera fondata da San Josemaría Escrivá.
Di Rafael Tavares
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