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Il segreto per trasformare il poco in molto, per essere felici

“Un giorno, per le strade della sua città natale, San Paolo, il dottor Plinio vide uno di quei cavallini che trainano i carri, di solito con un carretto…”

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Redazione (29/02/2024 16:02, Gaudium Press) Più volte il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, in incontri informali o in riunioni, ha detto ai suoi discepoli o compagni che, seguendo l’esempio della sua virtuosa madre Lucilia, si accontentava di poco, cioè che quel poco di bene che la vita gli offriva e Dio gli dava, e gli procurava una felicità profonda che lo appagava e lo aiutava a sopportare i duri fardelli che gravavano sulle sue spalle.

Questo è un motivo per noi – figli di questo mondo di pazzi che corrono dietro ai grandi piaceri, alle carriere eclatanti e alle espressioni più incandescenti dei social network – per immergerci nelle profondità della sua anima feconda e scoprire come, in mezzo ai sacrifici e alle lotte, egli vi abbia fatto abitare la felicità e la pace. Quello che il dottor Plinio diceva è che con “poco” viveva felicemente e serenamente, per quanto possibile in questa valle di lacrime.

Chiaramente, l’aspetto principale è che era un uomo che cercava e praticava la virtù, e niente riposa di più, come un cuscino di belle piume ,di una coscienza pulita. Ma è anche importante sapere come questo “poco” nella sua anima contemplativa si sia trasformato in molto: questo è il segreto della questione.

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Un giorno, per le strade della sua città natale, San Paolo, il dottor Plinio vide uno di quei cavallini che trainano i carri, spesso malconci, non ben nutriti, ma che comunque tirano il loro carico con determinazione, senza ribellarsi, con rassegnazione e costanza, e disse a se stesso e poi a chi lo circondava che assomigliava a quel cavallino, che si accontentava del poco che gli veniva dato e che quindi svolgeva i suoi compiti senza ribellarsi, senza ruminare con amarezza ciò che soffriva.

La vista del cavallino lo distraeva, lo incantava, lo sosteneva nella sua posizione, era come una rivelazione di Dio che confermava e sorrideva, di quanto fosse felice di avere un figlio così su questa terra.

Il dottor Plinio ha anche raccontato come sua madre, la dolce Doña Lucilia, mostrasse sempre la massima gratitudine per le più piccole attenzioni che le venivano rivolte – un mazzo di fiori, qualche dolce che le veniva regalato – e come questa gratitudine illuminasse la sua giornata, una luce che estendeva a tutta la famiglia riunita. Se le venivano regalati dei fiori, ripeteva la descrizione del loro profumo, della loro particolare bellezza e della gioia che le avevano procurato. Anche lei si accontentava di poco ed era molto felice di quel poco.

Abbiamo sollevato questo argomento perché è sempre più diffusa l’idea che se quest’anno non abbiamo in programma un viaggio a Dubai o altrove, non possiamo essere felici. Che se non abbiamo un’attività iper eccitante o speciale ogni settimana, quasi ogni giorno, dovremmo essere invasi da una tristezza esistenziale, premonitrice di depressione (la verità è che alcune persone vanno a Dubai, e subito dopo sono più infelici…).

Non stiamo parlando di un viaggio rilassante all’estero, o in un qualsiasi villaggio vicino alla nostra città; stiamo parlando di dove e come ci procuriamo la felicità.

E sì, come dice un detto antico, la questione non è tanto nella cosa quanto negli occhi che la guardano, nell’anima di chi la vive.

Il dottor Plinio, Doña Lucilia e le anime grandi trasformano quel poco in molto, in moltissimo, perché dall’osservazione di un cavallino estraggono il meglio, traggono un insegnamento morale, godono di una consolazione, fanno analogie, e possono salire e salire e salire e raggiungere la Divinità. Se non ricordo male, il dottor Plinio , dall’osservazione di quell cavallino giunse al confront con Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, sì, rimase incantato dalla distinta rettitudine di San Bartolomeo, ammirava i giganti come Giovanni Battista, ma si dilettava e traeva il meglio anche dalle piccole cose come un giglio di campo, o il modo in cui una gallina si prende cura dei suoi pulcini.

Ma sono le grandi anime a rendere grandi le cose.

Senza negare che esiste una chiara gerarchia di esseri, e che alcuni hanno qualità eminenti e altri meno, è vero che tutta la Creazione – dalla formichina, al bruco, a volte al sassolino – può servire da scala per salire verso l’infinito. Ma la scala è più l’anima del contemplatore che la cosa contemplata. Il punto non è tanto ottenere denaro per viaggiare in Europa, ma ottenere un’anima in grado di viaggiare dalla Creazione al Cielo dell’Empireo.

Si ammirano, giustamente, alcuni animali particolarmente belli, come un cigno o un pavone che nei momenti felici dispiega la sua coda di fuochi d’artificio, quasi abbagliando la nostra capacità di visione e di bellezza. Ma molto più ammirevole di un pavone è un uomo semplice, capace di trasformare le sue sensazioni in idee immateriali ed eterne, capace di amare Dio fino a raggiungere la santità e con essa cambiare la storia.

Ma accade che per trovare la bellezza di certi esseri dobbiamo contemplare, pensare, scrutare, mentre in altri la loro bellezza è chiaramente percepibile dalla nostra sensibilità, senza l’uso dell’intelligenza o della volontà.

La felicità più profonda, inoltre, non deriva solo dalla percezione sensibile, ma quando a questa si aggiunge l’osservazione attenta e la riflessione, che è più propria dell’uso dell’anima che del semplice oggetto osservato. Per esempio, dall’analisi del motivo per cui ho provato una gioia particolare quando ho sentito quest’aria e non un’altra nella voce di questo artista e non di un altro.

Il mero piacere sensibile di quella musica sarebbe come un profumo che evapora facilmente al calore del sole, se non riflettiamo profondamente su cosa dice quell’aria, su quale sia il messaggio non solo del testo ma anche della musica, su quale particolare sfumatura o luce le abbiano dato la voce e la personalità di quell’artista. Perché mi piace Plácido Domingo per alcune cose, Carreras per altre, Pavarotti per altre ancora, o qual è la sfumatura speciale di Rolando Villazón o di Anna Netrebko che dà la sua particolare bellezza a ciò che canta, una bellezza che finisce per essere una partecipazione divina.

Perché, alla fine, tutti gli esseri, inerti o viventi, razionali o meno, portano un “messaggio di Dio”. Ma questo messaggio, che a volte si presenta rivestito di carta dorata, è soprattutto interiore, un tesoro da ricercare scavando con la pala della ragione illuminata dalla fede, se vogliamo davvero conoscerlo e valorizzarlo.

Chiediamo la grazia a Dio, che ci aiuti anche a trovare la serena e profonda consolazione che le grandi e piccole meraviglie del Creato possono darci.

 

Di Saúl Castiblanco

 

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