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A Shanghai insediato il nuovo vescovo cattolico senza il riconoscimento del Vaticano

 Mons. Joseph Shen Bin, 52 anni, già vescovo di Haimen, è stato insediato come nuovo vescovo della grande città cinese.Il clero locale esprime il proprio malcontento.

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Redazione (05/04/2023 14:29, Gaudium Press) L’agenzia di stampa Asia News ha riferito ieri che nella diocesi di Shanghai è giunta una comunicazione ai sacerdoti diocesani, con l’invito a partecipare all’insediamento del nuovo capo della giurisdizione. Stranamente, l’invito non menzionava il nome del nuovo vescovo, che a quanto pare sarebbe stato rivelato durante l’insediamento stesso.

Ebbene, la previsione si è avverata.

Mons. Joseph Shen Bin, 52 anni, già vescovo di Haimen, è stato insediato come nuovo vescovo della grande città cinese, nella cattedrale della città.

Mons. Shen Bin è  un vescovo riconosciuto dalla Santa Sede fin dalla sua ordinazione nel 2010, ma la sua nuova nomina non manca di suscitare critiche tra i cattolici anche perché è a capo del Consiglio dei vescovi cinesi, una sorta di conferenza episcopale, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede e legato al Partito comunista cinese.

Monsignor Shen Bin è anche uno degli 11 rappresentanti cattolici – ed è tra i vicepresidenti – della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (CPPCC), un organo politico che, insieme ad altri, formalizza le decisioni dell’esecutivo.

Una sede vacante, un vescovo agli  arresti

La sede di Shanghai è vacante dalla morte del vescovo Joseph Fan Zhogliang nel 2014 e del vescovo Aloysius Jin Luxian nell’aprile 2013. In precedenza il vescovo Taddeo Ma Daqin era stato scelto come vescovo coadiutore di questa giurisdizione, cioè un vescovo con diritto di successione. Questo presule era stato ordinato a questo scopo con un mandato pontificio, ma era stato arrestato nel 2012 per essersi dimesso dall’Associazione patriottica filogovernativa – che per conto del governo supervisiona la Chiesa in Cina – subito dopo la sua ordinazione episcopale.

Sebbene il vescovo fosse poi rientrato nell’organismo del Partito Comunista, il governo non lo ha riconosciuto come vescovo della diocesi e i fedeli non hanno avuto la possibilità di incontrarlo. È agli arresti nel seminario di Sheshan.

E ora arriva l’insediamento del vescovo Shen Bin, la cui nomina è stata rivelata all’ultimo – come ha dichiarato un ecclesiastico cinese a The Pillar, giornale cattolico, – per evitare la possibilità di proteste contro il suo insediamento. Lo stesso sacerdote, che è vicino al vescovo Shen, ha dichiarato ai media statunitensi che i sacerdoti locali di Shanghai sono frustrati dal fatto che Shen sia stato insediato senza il riconoscimento del Vaticano.

Un altro sacerdote ha dichiarato a The Pillar che la nomina del vescovo Shen è il risultato di una “partita truccata”. E ha aggiunto: “Il fatto che Shen abbia vinto la partita di Shanghai, in virtù della sua influenza come presidente della conferenza episcopale non riconosciuta, e si sia autoproclamato vescovo di Shanghai, non è del tutto gradito alla gente del posto”.

La questione è che la nomina del nuovo vescovo di Shanghai non è nel bollettino ufficiale della Santa Sede. Un funzionario vaticano rimasto anonimo, vicino alla Segreteria di Stato, ha dichiarato oggi a The Pillar che la nomina “non è stata fatta dalla Santa Sede”. Si tratta quindi, ha affermato, di una “azione riprovevole” da parte delle autorità cinesi.

“Non è la stessa situazione del vescovo Peng”, ha detto il funzionario, riferendosi a una nomina episcopale avvenuta in Cina nel novembre 2022, in cui un vescovo diocesano in carica aveva lasciato la sua sede per diventare vescovo ausiliare di una diocesi non riconosciuta dal Vaticano. “Ma”, ha detto il funzionario, “è comunque qualcosa che non aiuta”.

La nomina di Peng è stata denunciata dal Vaticano alle autorità cinesi come una violazione dell’Accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi.

Resta da vedere se anche l’attuale nomina del vescovo di Shanghai sarà  oggetto di denuncia da parte della Santa Sede. Nel frattempo, tale mossa alimenta le voci secondo cui l’Accordo del 2018 tra la Santa Sede e la Cina comunista non ha impedito la persecuzione dei cattolici e, al contrario, consente un maggiore controllo delle autorità comuniste sulla Chiesa.

 

 

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