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“La luce in fondo” il nuovo libro di don Luigi Maria Epicoco

Attraversare i passaggi difficili della vita è possibile con la luce in fondo cioè con Cristo.

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Rita Sberna (10.11.2020 16:02, Gaudium Press) Don Luigi Maria Epicoco (1980), sacerdote della diocesi di L’Aquila, che ha al suo attivo numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue, tra le quali San Giovanni Paolo Magno, scritto con Papa Francesco, questa sera ci parlerà del suo ultimo libro (edizione Rizzoli) La luce in fondo – attraversare i passaggi difficili della vita.

Come è nato questo libro?

Questo libro è nato come un tentativo di narrare in maniera diversa alcune parole che in realtà la grande pandemia del coronavirus ci ha fatto vedere in maniera negativa. Le relazioni, il corpo, la morte, la responsabilità di stare nel mondo insomma parlare della crisi come un momento che non deve semplicemente farci sperimentare il buio ma anche un’esperienza di luce.

Nel prologo, parla del bisogno che l’uomo ha di essere ascoltato. Oggi ci si ascolta poco?

Questo forse è il bisogno primario dell’uomo che in realtà viene a mancare in tutti i livelli non soltanto a livello personale ma anche sociale ed educativo. L’ascolto lo definisco nel libro come “la fame” più importante che l’uomo sente e disattesa in questo momento. La gente è disposta a tutto pur di essere ascoltata.

 

Il libro è composto da stralci di lettere che durante il periodo della pandemia riceveva. I problemi e le difficoltà della vita sono reali. Qual è la situazione che le è rimasta particolarmente impressa dalle lettere che ha ricevuto?

In realtà nel libro ho citato qualche lettera che ho ricevuto ma moltissime sono rimaste impresse perché la maggior parte di persone che scrive, lo fa condividendo una parte intima della propria sofferenza e della propria crisi ed esperienze di vita che a volte sono davvero disarmanti.

Tutte queste storie normalmente le porto nella Messa e cerco di pregare per queste persone. La cosa che mi colpisce a volte è la santità con cui la gente affronta le cose, tirando fuori da una parte una grande umanità e dall’altra parte un senso di fede che forse neanche io riesco ad avere e sono loro ad insegnarlo a me.

Il primo capitolo si apre con le “relazioni”. Forse ancora oggi nonostante la pandemia sia passata, mancano le vere relazioni che nella maggior parte dei casi continuano ad essere solo virtuali o delle relazioni distanziate. Non crede?

Le relazioni sono un tema che riguarda soprattutto l’uomo in quanto uomo, nel senso che quando vengono a mancare le relazioni, la vita diventa meno umana.

Il covid distanziandoci ha messo ancora di più in evidenza la nostalgia di relazioni che ciascuno di noi ha.

Fondamentalmente dovremmo sempre domandarci se la nostra vita la pensiamo a partire dalle nostre relazioni oppure siamo ripiegati su noi stessi. Ad esempio se hanno priorità il nostro pensiero, le nostre opinioni o semplicemente le nostre emozioni, il nostro sentire oppure se ci sono delle relazioni significative che qualificano un po’ la nostra vita. Molto spesso le cose che soffriamo di più, le soffriamo a causa delle relazioni perché molte di esse sono tossiche, in ambito psicologico dovremmo dire che sono quelle relazioni che non tirano fuori il meglio di noi ma a volte tirano fuori il peggio di noi, ci mettono in situazioni di dipendenza.

Eppure non possiamo fare a meno delle relazioni perché soltanto quando entriamo in relazione, si sprigiona la parte più vera di noi.

 

Poi parla anche della solitudine lo stato d’animo che ci ha accumunati un po’ tutti …

Nel libro cerco di parlare di una solitudine negativa che è quella che tutti noi sperimentiamo, come la crisi dei rapporti, delle relazioni, il senso di smarrimento e di sentirsi abbandonati. E poi c’è una solitudine positiva cioè la capacità, a volte, di sapersi distanziare in termini fisici o interiori da alcune situazioni; a volte è l’unica maniera per fare chiarezza. Quando ci prendiamo un po’ di tempo per noi, quando si sale su una montagna, dalla montagna si riesce a vedere la città in una maniera diversa e si ha una visione che quando si è immersi dentro la città non si riesce ad avere.

Noi siamo spaventati dalla solitudine, invece forse dovremmo imparare di nuovo una solitudine che ci fa bene, una solitudine che ci fa vivere e ci fa sperimentare una libertà che a volte a noi manca. La gente a volte per paura di rimanere sola è capace di accontentarsi anche e di farsi piacere tutto.

Invece non tutto vale la pena, non tutto ce lo possiamo far piacere e non tutto tira fuori il meglio di noi.

E poi c’è il silenzio. Quanto è importante il silenzio, creare occasioni di silenzio interiore?

C’è un silenzio che è l’assenza di rumore, l’assenza di parole ecc.. Ma un silenzio vero è la capacità di far parlare la realtà, di far parlare le cose cioè quando noi applichiamo sulle cose sempre le nostre idee, le nostre aspettative … Immaginiamoci in un rapporto di coppia, quando un marito e una moglie sono sposate, che cosa significa fare silenzio nei confronti dell’altro? Significa permettere all’altro di dire la sua, di esprimersi davvero ma se noi invece ci rapportiamo all’altro sempre con i nostri pregiudizi pensando sempre di aver capito quello che l’altro vuole dire ma non permettergli mai di dirlo davvero, in quel momento noi condanniamo l’altro all’incomprensione e ad una solitudine che gli fa male.

Il silenzio non è l’assenza di parola ma il silenzio vero è la capacità di mettersi in ascolto delle cose e delle persone di cui è fatta la nostra vita.

  C’è anche un capitolo dedicato al corpo. Può parlarcene brevemente?

Il corpo è una parte decisiva della nostra vita, così decisiva che viviamo in un momento in cui sembriamo concentrati sul corpo ma in realtà, una corporeità che si ferma semplicemente alla superficie che cura semplicemente la forma senza pensare che un corpo per reggersi ha bisogno di un interiorità, ecco quel tipo di corporeità alla fine ci delude.

E’ un tipo di corporeità che non ci porta da nessuna parte. Noi dovremmo riconciliarci con il nostro corpo perché noi siamo anche il nostro corpo ma non dovremmo essere soltanto corpo; dovremmo capire che dietro la forma c’è bisogno anche di una sostanza, c’è bisogno di riscoprire qualcosa di molto più profondo del semplice fitness.

Faccio un esempio: sono sempre molto ammirato, a volte dal carattere e dal senso di abnegazione con cui una persona si sveglia presto la mattina per andare a fare una corsa, per fare sport, le ore che una persona può trascorrere in una palestra ecc.. questo indica una grande capacità anche d’impegno.

Se lo stesso tempo o almeno in proporzione una persona lo dedicasse alla propria interiorità, allora si verrebbe a creare una proporzione dentro la sua vita.

Se cresce più una parte rispetto ad un’altra, questa cosa ad un certo punto la viviamo come un disagio, cioè si è sviluppato un lato della nostra vita ma non armonicamente tutto il resto.

Dovremmo essere capaci di avere cura di noi stessi in termini corporali ma anche dovremmo avere cura di noi stessi anche in termini interiori.

Un grande fitness interiore farebbe splendere di più anche quel fitness esteriore.

Ed infine c’è il capitolo dedicato alla morte, ed essendo anche io mamma, mi sono immedesimata nel racconto di una madre che ha persona sua figlia o come lei la chiama “la mia bambina” a causa del virus. Questa signora le fa una domanda che faccio anche mia: come si può continuare a vivere con il solo pensiero che lei non c’è più?

Qui tocchiamo un ambito delicatissimo della vita delle persone soprattutto perché poi ho voluto citare quella lettera, senza voler far torto a nessuno proprio perché non esiste dolore più grande al mondo che la perdita di un figlio soprattutto per una madre, il rapporto con una madre è il più profondo di tutte le relazioni umane che esistono.

Quando si è colpiti in quella relazione, è qualcosa che pesa moltissimo perché è la cosa più contro natura che possa accadere cioè che una madre assista alla morte del proprio figlio.

Eppure la grande domanda che io mi pongo a volte è questa cioè che il figlio in quel caso può diventare davvero un morto cioè qualcosa che rimane fermo nel tempo e che trattiene ormai la vita, quella della madre e delle altre persone; come se il tempo si fermasse e non si riuscisse più ad andare avanti. Come se quel figlio, cominciasse ad essere protagonista di un passato che man mano si allontana ma che noi non vogliamo mollare.

Chi amiamo non può mai diventare la causa della nostra disperazione. elaborare un lutto significa capire che una persona che amiamo è tale, proprio perché non possiamo mai trasformarla in qualcosa che genera morte ma in qualcosa che deve generare vita.

Il grande sforzo o meglio la grande sfida di persone che hanno vissuto e che vivono questo dramma, è quello di domandarsi proprio a partire dai propri figli o dalle persone che gli mancano come un padre, un fratello e un amico, domandarsi: da questo momento in poi cosa ne voglio fare della mia vita? Quanta vita voglio che nasca anche a partire soltanto dal ricordo di queste persone?

In poche parole trasformare quella morte in qualcosa che genera vita, non in qualcosa che genera ancora morte ed è l’unico modo per disarmare la morte.

Questo non significa che le cose cambiano ma almeno che non permettiamo che quella tragedia trasformi una cosa bella come l’aver conosciuto qualcuno che abbiamo amato come qualcosa di brutto e di terribile.

Io penso sempre al fatto che se io sono amato da qualcuno odierei pensare che sono anche la causa della sua disperazione.

Una persona che veramente mi ama, deve difendermi dal diventare io il motivo della sua disperazione.

Credo che quando noi ci sforziamo di far questo non lo facciamo perché siamo più bravi degli altri o più capaci degli altri ma la forza e il coraggio lo troviamo pensando proprio a queste persone che abbiamo amato e che amiamo.

Un vero cristiano, in che modo trova la luce in fondo?

Per noi la luce in fondo è Cristo, è questa luce che è venuta dentro il buio della storia.

E’ Lui che è venuto a cercare noi, la bellezza di tutto il cristianesimo sta esattamente in questa verità di fondo perché non siamo noi ad aver trovato la luce ma è stata la luce a venire a cercare e a trovare ciascuno di noi.

Saper questo per noi significa avere incontrato la buona notizia del Vangelo, sapere che a volte ci perdiamo e viviamo in momenti bui, non sappiamo più quale strada prendere e non riusciamo più a trovare la via d’uscita.

Noi siamo figli di un Dio che è venuto a cercarci e di un Dio che continua a cercarci dentro il nostro buio e dentro le nostre tenebre e continua a cercarci ostinatamente finchè non ci trova e finchè non ci mette in condizioni di poter di nuovo tornare a sperare, vivere e trovare un senso e un significato alla nostra vita.

Sapere questo significa per noi, renderci conto che la luce in cui noi crediamo non è qualcosa di fermo che si trova semplicemente alla fine di un percorso, non è semplicemente una luce in fondo in termini spazio-temporali.

In fondo significa che è alla base di ogni cosa, cioè in fondo a questa relazione c’è la luce, in fondo a questa situazione c’è la luce, in fondo a quest’istante che stiamo vivendo c’è la luce. Alla base di ogni cosa che stiamo vivendo c’è la luce. Questa è la speranza cristiana, è il sapere che il fondamento di tutta la nostra vita non è il buio ma è la luce che Cristo è venuto a portarci.

 

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