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San Carlo Borromeo: modello per l’episcopato

 Il 4 novembre si ricorda la memoria di San Carlo Borromeo. In un momento cruciale in cui molte verità della Fede erano messe alla prova, l’arcivescovo di Milano seppe difenderle dagli attacchi dell’eresia e personificare il modello di santità per l’episcopato cattolico.

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Redazione (04/11/2023 14:09, Gaudium Press) Violente tempeste si abbatterono sulla Chiesa nel corso del XVI secolo. Il meraviglioso edificio della cristianità mostrava ormai profonde crepe, causate dalla tiepidezza dei suoi figli, e diventava il bersaglio di attacchi volti a demolirlo.

Non si trattava più di affrontare nemici esterni, ma di cristiani impegnati a lacerare la tunica senza cuciture del cattolicesimo. Il popolo fedele, fino ad allora unito in un unico gregge sotto l’egida di un unico pastore, ascoltò attonito il grido di insubordinazione di Lutero contro Roma e, di conseguenza, intere nazioni finirono per allontanarsi dall’ovile della Santa Sede.

Non passò molto tempo prima che altri personaggi, come Calvino e Zwingli, seguissero l’impetuoso monaco di Wittenberg nella predicazione di dottrine eretiche che a prima vista differivano l’una dall’altra. Ma tutti avevano in mente lo stesso obiettivo: “Gli innovatori religiosi erano d’accordo solo sulla completa oppressione ed estirpazione del culto cattolico”.

Ora, in questo periodo cruciale della storia della Chiesa, sorsero una miriade di eroi della fede, caratterizzati da un rinnovato amore per ciò che gli spiriti frivoli del tempo avevano disprezzato: il decoro della Sacra Liturgia, la frequente e corretta ricezione e distribuzione dei Sacramenti, la buona formazione dottrinale del clero e dei fedeli.

Nascita accompagnata da segni del cielo

San Carlo Borromeo occupò in questo frangente una posizione importante, i cui momenti decisivi sono in qualche modo condensati nella sua breve vita di quarantasei anni. Sulle spalle di quest’uomo giusto, Dio sembra aver posto gran parte delle preoccupazioni della Chiesa, benedicendo al contempo tutte le opere animate dal suo zelo pastorale.

Un bellissimo episodio riguarda la sua nascita, avvenuta nelle prime ore del 2 ottobre 1538. Situato nella cittadina lombarda di Arona, sulle rive del limpido Lago Maggiore, il castello della famiglia Borromeo fu improvvisamente illuminato da un lampo di luce proveniente dal cielo, che rimase sul posto per diverse ore.

Diversi testimoni assistettero all’evento, come si legge nella bolla di canonizzazione del santo: “Nella notte della nascita del bambino, il Signore manifestò lo splendore della sua futura santità con una luce intensa e straordinaria, che molti videro risplendere sulle stanze di sua madre”.

Battezzato pochi giorni dopo nella cappella del castello, il piccolo Carlo si distinse presto per la sua religiosità. Quando venne il momento degli studi superiori, Carlo Borromeo partì per Pavia, dove studiò diritto ecclesiastico e civile.

Alla vigilia del conseguimento del dottorato, una notizia cambiò completamente la sua vita: eletto alla Cattedra di Pietro nel Conclave del 1559, lo zio materno Giovanni Angelo de Medici lo chiamò come consigliere per la direzione della Chiesa, nominandolo cardinale-diacono ancor prima di essere ordinato sacerdote.

“Angelo custode” di Pio IV e arcivescovo di Milano.

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Pio IV conosceva le virtù del nipote. Sebbene Carlo Borromeo avesse accumulato incarichi prestigiosi, bisogna riconoscere che questo si rivelò un raro esempio di nepotismo di successo, perché "fin dal primo giorno fu l'antitesi del tipo di cardinale-nipote del Rinascimento, nella maggior parte dei casi, solo autentici gaudenti". È noto che la sua presenza scontentò alcuni membri della cerchia del Papa, perché "lo stile di vita severo di Carlo e i suoi sentimenti interamente ecclesiali non erano affatto di loro gusto".

È difficile dire quanto sia stata preziosa per la Chiesa la sua presenza presso il Papa, perché oltre a essere un utile e sagace collaboratore per ogni opera buona, era un uomo altruista che si faceva carico dei compiti più ardui, delle questioni più intricate, dei problemi a cui altri si sottraevano, sempre privo di qualsiasi interesse personale, come un “angelo custode” in carne e ossa.

Tre anni dopo essere stato nominato Segretario di Stato, nel settembre 1563, San Carlo Borromeo fu ordinato sacerdote e, nel dicembre, elevato alla dignità episcopale. Prima, però, era stato nominato amministratore dell’arcivescovado di Milano, all’epoca la più grande giurisdizione ecclesiastica della penisola italiana.

Il governo di questa arcidiocesi gli impose il grave obbligo di lavorare per la santificazione di un gregge numeroso, afflitto da ogni tipo di necessità spirituale e materiale, a cui il santo diede la precedenza rispetto ad altri importanti impegni.

Le decisioni di Trento prendono vita a Milano

Nello stesso anno, il 1563, la decisione pontificia di portare a termine il Concilio di Trento fece scalpore sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Le sessioni di questa magistrale assemblea si rivelarono uno strumento efficace per scoprire e combattere gli errori del protestantesimo, attraverso una rinnovata e arricchita affermazione della dottrina cattolica.

San Carlo Borromeo ebbe un ruolo importante in questo contesto. Non era presente a Trento, né agì come sacerdote conciliare, anche se fu responsabile della stesura del monumentale Catechismo Romano.

Tuttavia, spettava a lui agire in alto loco per rendere possibile lo svolgimento delle sessioni finali e creare le condizioni affinché i decreti della grande assemblea fossero pienamente accettati in tutta la Chiesa. Nel raggiungere questo obiettivo, il suo impegno personale avrebbe avuto una grande influenza.

Con la morte di Pio IV nel dicembre 1565 e l’elezione del domenicano Antonio Michele Ghislieri – nientemeno che San Pio V – nel gennaio dell’anno successivo, il governo della Chiesa era in ottime mani. Così il cardinale rese pubblica la sua decisione di trasferirsi nella sua arcidiocesi e di attuarvi la riforma tridentina.

Un “nuovo Ambrogio” alla guida dell’arcidiocesi milanese

L’arcidiocesi di Milano si distingueva già nel XVI secolo per un’antica e notevole tradizione: era stata fondata dall’apostolo Barnaba, la cui santità ispirò molti dei suoi successori.

Al momento dell’insediamento del cardinale Borromeo, erano ottant’anni che non aveva un prelato residente nel suo territorio.

Il 23 settembre 1565, i milanesi furono finalmente confortati dall’arrivo di un “nuovo Ambrogio” sulla cattedra del loro Duomo. La popolazione si riversò nelle strade per accogliere il prelato, che entrò in città su un cavallo bianco, moltiplicando gli applausi di giubilo intorno a lui. Il Santo ricambiò l’accoglienza dicendo, nella sua prima omelia in cattedrale, che era veramente felice di poter servire personalmente i suoi diocesani, preferendo mille volte la loro compagnia a qualsiasi magnificenza che la Città Eterna potesse offrirgli.

Iniziò così un promettente processo di rivitalizzazione della fede milanese o, forse, di irradiazione della fede del Vescovo tra i fedeli. San Carlo Borromeo intraprese una gigantesca impresa pastorale, volta a trasformare completamente le strutture obsolete o inadeguate esistenti. Convocò diversi consigli provinciali e sinodi diocesani, attuò un piano di formazione del clero e si dedicò personalmente al bene delle anime. Di conseguenza, l’arcidiocesi assunse una nuova fisionomia.

Nonostante la sua incessante attività per raggiungere questi obiettivi, il Cardinale amava ripetere che le anime si conquistano in ginocchio. Coerentemente con questo principio, riconosceva che una vita interiore ben condotta è una condizione indispensabile per il successo di qualsiasi opera di evangelizzazione: si confessava ogni giorno e faceva così tanti digiuni, veglie e penitenze che Papa San Pio V “lo avvertì che non voleva che morisse a causa di tale austerità”.

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Modello per l’episcopato

Dopo pochi anni, si notava come la grazia avesse già trasformato la diocesi a lui affidata, come osservò il cardinale Gabriele Paleotti, giunto in città su invito del Santo: “O Milano, non so che dire di te, perché quando considero le tue sante fatiche e la tua devozione, mi sembra di vedere un’altra Gerusalemme, grazie alle fatiche e ai lavori del tuo buon pastore”.

Tra le molteplici sfaccettature della santità di San Carlo Borromeo che hanno suscitato la devozione dei fedeli dalla sua partenza per il cielo il 3 novembre 1584, quella che meglio lo definisce è quella di essere stato un Vescovo emblematico, un modello per tutti coloro che portano la sacra mitra nella Santa Chiesa di Dio.

Infatti, l’organizzazione di una diocesi come la vediamo oggi, con la sua struttura legislativa, amministrativa e pastorale, è frutto della riforma della Chiesa ambrosiana, “che si rivelerà non solo efficace, ma anche altamente esemplare”. I pastori di rito latino potrebbero guardare ad essa per organizzare le proprie diocesi secondo lo spirito post-conciliare.

Degno successore degli Apostoli, San Carlo Borromeo elogia i Dodici in un modo che potrebbe essere applicato a se stesso: “Mentre illuminavano con la luce della disciplina evangelica la faccia della terra avvolta dalle tenebre dell’errore, ci hanno anche lasciato l’esempio di come ristabilire l’ordine nel mondo”.

 

Testo tratto, con adattamenti, dalla rivista Araldi del Vangelo n. 191 novembre 2017.  Suor Carmela Werner Ferreira, EP.

 

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