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Santa Giovanna d’Arco: vergine e intrepida guerriera

La Chiesa celebra oggi, 30 maggio, il martirio di Santa Giovanna d’Arco. Dotata da Dio di una vocazione altissima, la pastorella di Domremy non risparmiò alcuno sforzo per adempiere alla volontà divina, tanto da essere, per questo, perseguitata, calunniata e martirizzata

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Redazione (30/05/2023 13:54, Gaudium Press) Santa Giovanna d’Arco nacque probabilmente nel 1411, o forse nel 1412, a Domremy, una città all’interno della Francia. Secondo una pia tradizione, venne alla luce la notte dell’Epifania, il 6 gennaio.

Figlia di Giacomo d’Arco e Isabella, cattolici e di buona reputazione, fu educata fin dalla prima infanzia alla pratica della Legge di Dio. Secondo i testimoni del suo tempo, le piaceva andare in chiesa e confessarsi, e ogni volta che poteva, faceva l’elemosina ai poveri.

In generale, trascorse la sua infanzia allevando animali, cosa che faceva con grande piacere; non era affatto diversa dalle ragazze della sua età. Tra le persone più vicine a lei, era conosciuta come Jeannette, la piccola Giovanna.

Ma verso i tredici anni, alcuni fatti cambieranno la vita della pastorella: Dio iniziò a comunicare con lei attraverso apparizioni soprannaturali. Da quel momento vide e udì San Michele Arcangelo, Santa Caterina e Santa Margherita, che, per un periodo di tre anni, la prepararono alla missione che le era stata destinata: liberare la Francia dal potere degli inglesi e far diventare re, Carlo VII.

Fedele alla chiamata di Dio, Giovanna partì in fretta e furia verso la città di Chinon, per eseguire gli ordini divini.

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Santa Giovanna d’Arco

Aveva solo 16 anni quando il futuro re Carlo le affidò il comando di una brigata, a lei che ignorava completamente le leggi della guerra… In otto giorni, alla fine di maggio, la giovane guerriera pose fine all’assedio della città di Orléans, assediata da sette mesi, costringendo gli inglesi a ritirarsi. E subito dopo, a luglio, dopo tanto impegno da parte di lei, Carlo VII fu consacrato re di Francia a Reims.

Il Calvario

Tuttavia, dopo tanti successi, eventi apparentemente inspiegabili diedero inizio al suo “calvario” che sarebbe durato quasi due anni: il re, che l’aveva tanto protetta, la abbandonò nelle mani dei suoi nemici. Come se non bastasse, il 23 maggio 1430 fu catturata e fatta prigioniera, per poi essere venduta cinque mesi dopo agli inglesi. A quel punto iniziarono i complotti.

Cercarono in tutti i modi di ucciderla, ma dovevano mantenere una parvenza di legalità, poiché un prigioniero di guerra non poteva essere condotto al patibolo senza un processo. Si accordarono con il vescovo locale, Pierre Cauchon, e la processarono per “eresia”, “stregoneria” e “idolatria”.

Ma ecco la prima illegalità: Santa Giovanna fu sempre tenuta prigioniera dagli inglesi, e non fu mai messa in una prigione ecclesiastica sorvegliata da donne, come avrebbe richiesto un minimo di rispetto per la sua condizione femminile, e per il tipo di “processo” che fu simulato contro di lei.

Infatti, innumerevoli volte la pulzella, la vergine – come era conosciuta anche dai suoi nemici – si lamenterà di essere stata incatenata e sorvegliata giorno e notte da gruppi di cinque soldati che la odiavano. In diverse occasioni, fu picchiata dai suoi carcerieri con l’intento di attentare al suo pudore. Niente di tutto questo, però, smosse la compassione degli ecclesiastici.

Così, tradita, arrestata e ripudiata da coloro che aveva difeso, fu giudicata “in nome della Chiesa” da un vescovo, coadiuvato da un cardinale e da più di 120 chierici, che si erano posti al servizio di interessi del tutto estranei alla salvezza delle anime, sottomettendosi agli invasori inglesi e collaborando alla condanna di un’innocente.

Contro Giovanna d’Arco utilizzarono tutte le risorse che l’impostura poteva concepire, arrivando persino ad attentare al segreto della confessione, pur di ottenere qualche accusa credibile che permettesse loro di condurre al rogo la vergine di Domremy. Non mancarono falsificazioni di documenti, macchinazioni per attentare alla sua verginità, minacce di tortura e altre crudeltà.

Inoltre, nel corso del processo, gli sbirri spesso “omettevano” le nozioni fondamentali del diritto naturale. In un’occasione, Jean Beaupère, uno dei maggiori fautori della morte di Giovanna, si presentò davanti a lei con il vescovo Couchon e le chiese: “Sapete se siete in Grazia di Dio?”. Vale la pena ricordare un famoso adagio della Santa Madre Chiesa che dice: “De internis non iudicat Ecclesia“. Cioè, nemmeno la Chiesa può giudicare la coscienza. Nel frattempo, ispirata dalle voci celesti che l’hanno sempre aiutata, Giovanna rispose: “Se non lo sono, che Dio me lo conceda. Se lo sono, che Egli mi mantenga in esso! Sarei la persona più infelice del mondo se sapessi di non essere in Grazia di Dio”.

L’esecuzione

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Ma perché tanto odio nei confronti di una ragazza di 19 anni che, agli occhi degli uomini, come descrive Régine Pernoud, “era una  donna semplice che si mostrava più esperta in guerra di un capitano, una contadina ignorante che si comportava come se ne sapesse di più di quei medici che possedevano la chiave della scienza, una ragazza di meno di vent’anni che sosteneva di essere fedele alle sue visioni”?

Ma la sete di male non risparmiò nessuno sforzo. Giovanna fu scomunicata e condannata a morte il 30 maggio 1430, nella Piazza del Mercato Vecchio di Rouen (Francia). Prima della sua morte, però, accadde qualcosa di inspiegabile: lei, che era scomunicata, chiese di confessarsi e di ricevere la comunione, ed entrambe le richieste furono accolte.

Il giorno della sua esecuzione, tutti coloro che desideravano assistere alla sua morte si recarono in piazza. Più di 800 soldati, con lance e asce di guerra, assicurarono la regolarità dell’esecuzione. Tutta la folla assistette alla morte lenta e dolorosa della vergine immacolata, sulla cui candida fronte era stato posto un cappello di scherno con la scritta: “eretica, apostata, recidiva, idolatra“.

Imperterriti, la sentirono esclamare più volte: “Gesù! Gesù! Gesù!” e ” Le voci non hanno mentito!”. Dopo aver pronunciato per l’ultima volta il nome di “Gesù”, consegnò la sua anima a Dio; e, secondo la testimonianza di un testimone insospettabile (un soldato inglese che la odiava), mentre esalava l’ultimo respiro, una colomba bianca si levò dal suo corpo verso il cielo. Le sue ceneri furono gettate nel fiume, insieme al suo cuore, ancora incorrotto e pulsante.

Cosa accadde ai persecutori?

Tuttavia la mano di Dio si abbatté su coloro che avevano perseguitato la sua inviata: coloro che si erano resi colpevoli della sua morte, dopo pochi giorni furono chiamati a rendere conto davanti al Creatore.

I tre principali responsabili fecero una fine tragica: Cauchon morì improvvisamente mentre veniva rasato; D’Estivet, amico intimo di Cauchon, promotore della causa, scomparve misteriosamente e il suo cadavere fu ritrovato in una fogna; Nicolas Midy, colpito dalla lebbra poco dopo il processo, dovette abbandonare i benefici che la sua “devozione” gli avevano procurato e, divorato dalla malattia, morì in un lebbrosario.

Morte improvvisa, morte misteriosa, morte di lebbra. Tragica fine terrena di chi, mondano, pensava di aver cancellato il nome dell’inviata di Dio dalle righe della storia. Lei è ora nel catalogo dei santi. Loro, solo nelle pagine sinistre degli emuli di Giuda.

La Santa Chiesa, però, attraverso le mani dei suoi fedeli ministri, vent’anni dopo, dichiarò la mancanza di colpe della vergine di Domremy. E, cinquecento anni dopo, Benedetto XV riconoscerà la santità della sua vita, inserendola nel catalogo dei Santi.

Di Guilherme Maia

Cfr. PERNOUD, Régine. Vie et mort de Jeanne d’Arc. Parigi: Hachette, 1953.

 

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